Giugno 2024

L’indumento scritto

Il sistema moda, ritorna il capolavoro di Roland Barthes

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Scritto tra il 1957 e il 1963, Sistema della moda di Roland Barthes ha dato il via alla ricerca scientifica sul tema non solo in semiotica, ambito di cui il volume rappresenta un pilastro, ma praticamente in tutte le scienze sociali. Basandosi sulle principali riviste di settore, tra cui le edizioni francesi di “Vogue” ed “Elle”, Barthes lavora sull’indumento scritto o de-scritto per ricostruire le argomentazioni della giurisprudenza della Moda, un mito creato per convincere le persone della necessarietà della rotazione del guardaroba, associando capi e accessori a tratti della personalità e a eventi mondani. Pubblichiamo un estratto dall’edizione appena tornata in libreria per le edizioni Mimesis per la cura di Bianca Terracciano.

Apro una rivista di Moda: vedo che vi si tratta di due indumenti diversi. Il primo è quello che mi viene presentato in fotografia o in disegno, è un indumento-immagine. Il secondo è ancora questo indumento, ma descritto, trasformato in linguaggio; questo abito fotografato a destra, a sinistra diventa: cintura di cuoio al di sopra della vita, con una rosa appuntata, su un abito morbido in shetland; questo indumento è l’indumento scritto. 

Questi due indumenti, benché rimandino alla stessa realtà (l’abito portato quel dato giorno da questa donna), non hanno la stessa struttura, perché non sono fatti degli stessi materiali e di conseguenza questi materiali non hanno fra loro gli stessi rapporti: nel primo i materiali sono forme, linee, superfici, colori, e il rapporto è spaziale; nel secondo sono parole, e il rapporto se non logico è almeno sintattico; la prima struttura è plastica, la seconda è verbale. Forse questo significa che ogni struttura si confonde interamente con il sistema generale da cui emana, l’indumento-immagine con la fotografia, e l’indumento scritto con il linguaggio? 

No: la fotografia di Moda non è una qualsiasi fotografia, per esempio ha poco a che fare con la fotografia di stampa o con la fotografia del dilettante; comporta unità e regole specifiche; all’interno della comunicazione fotografica, essa forma un linguaggio particolare che ha indubbiamente il suo lessico e la sua sintassi, le sue “astuzie”, vietate o raccomandate. 

Allo stesso modo, la struttura dell’indumento scritto non può confondersi con la struttura della frase; perché se l’indumento coincidesse con il discorso, basterebbe cambiare un termine di questo discorso per cambiare con ciò stesso l’identità dell’indumento descritto; ora non è questo che accade; il giornale può scrivere indifferentemente: d’estate portate del tussor, o il tussor si addice molto bene all’estate, senza mutare niente di essenziale nell’informazione che trasmette alle sue lettrici: l’indumento scritto è portato dal linguaggio, ma anche gli resiste, e si fa appunto in questo gioco. Siamo quindi di fronte a due strutture originali, benché derivate da sistemi più comuni, in un caso la lingua, nell’altro l’immagine.

Si potrebbe almeno pensare che questi due indumenti ritrovino una identità al livello dell’indumento reale che sono chiamati a rappresentare, che l’abito descritto e l’abito fotografato siano identici attraverso quell’abito reale a cui rimandano l’uno e l’altro. 

Equivalenti senza dubbio, ma identici no; come infatti fra l’indumento-immagine e l’indumento scritto c’è una differenza di materiali e di rapporti, e quindi una differenza di struttura, così, da questi due indumenti all’indumento reale, si ha un passaggio ad altri materiali e altri rapporti; l’indumento reale forma dunque una terza struttura, diversa dalle prime due, anche se serve loro da modello, o, più esattamente, anche se il modello che guida l’informazione trasmessa dai primi due indumenti appartiene a questa terza struttura. 

Abbiamo visto che le unità dell’indumento-immagine sono situate al livello delle forme, quelle dell’indumento scritto al livello delle parole; quanto alle unità dell’indumento reale, queste non possono essere al livello della lingua, perché, come sappiamo, la lingua non è un calco del reale; né del resto si possono, per quanto la tentazione sia grande, situare al livello delle forme, perché “vedere” un indumento reale, anche in condizioni privilegiate di presentazione, non può esaurirne la realtà, ancor meno la struttura: non ne possiamo mai vedere che una parte, un uso personale e circostanziato, un modo particolare di portarlo; per analizzare l’indumento reale in termini sistematici, vale a dire abbastanza formali per potere render conto di tutti gli indumenti analoghi, bisognerebbe indubbiamente risalire agli atti che ne hanno regolato la fabbricazione. In altre parole, di fronte alla struttura plastica dell’indumento-immagine e alla struttura verbale dell’indumento scritto, la struttura dell’indumento reale non può essere che tecnologica; le unità di questa struttura non possono essere che le tracce diverse degli atti di fabbricazione, i loro fini raggiunti, materializzati: una cucitura è ciò che è stato cucito, un taglio, ciò che è stato tagliato; si tratta quindi di una struttura che si costituisce al livello della materia e delle sue trasformazioni, non delle sue rappresentazioni e significazioni; l’etnologia potrebbe fornire in proposito modelli strutturali relativamente semplici.

Ecco così per uno stesso oggetto (un abito, un tailleur, una cintura) tre strutture diverse, una tecnologica, un’altra iconica, la terza verbale. 

Queste tre strutture non hanno lo stesso regime di diffusione. La struttura tecnologica appare come una lingua madre di cui gli indumenti portati che si rifanno a essa non sarebbero che le “parole”. Le altre due strutture (iconica e verbale) sono anch’esse delle lingue, ma se stiamo alla rivista, che pretende sempre di parlare di un indumento reale primario, queste lingue sono lingue derivate, “tradotte” dalla lingua madre, si frappongono come tramite di diffusione fra questa lingua madre (langue) e la sua “parole” (gli indumenti portati). Nella nostra società, la diffusione della Moda poggia quindi in gran parte su un’attività di trasformazione: c’è un passaggio (almeno secondo l’ordine invocato dalla rivista) dalla struttura tecnologica alle strutture iconica e verbale. 

Ora, trattandosi di strutture, questo passaggio può essere solo discontinuo: l’indumento reale può essere trasformato in “rappresentazione” solo mediante certi operatori, che potremmo chiamare commutatori, o shifter, poiché servono a trasporre una struttura in un’altra, a passare se si vuole da un codice a un altro codice.