Gennaio 2025

Donald Trump e il futuro della democrazia

Una nuova razza di power broker domina la nuova scena del potere dove politica e capitale si intrecciano in modo più stretto che mai

TAG

AUTORE

DELLO STESSO AUTORE

Al momento non ci sono altri articoli di quest'autore.

L’insediamento di Donald Trump, subito iconizzato dall’immagine dei tecno-capitalisti più ricchi del mondo schierati in prima fila, ci mette di fronte alla “presa diretta del potere politico da parte di quello economico, senza nemmeno più intermediazione o nemmeno la fatica di sottostare ai riti e ai linguaggi democratici”, scrive in un interessante post su X lo storico Giacomo Gabbuti

Non solo la dottrina democratica è ormai poco più che un reperto consegnato ai cultori della storia del pensiero politico, o alla paleo-archeologia delle istituzioni occidentali; anche la sua forma liturgica, le sue (spesso vuote) ritualità e ampollose rappresentazioni pubbliche, si sono sbriciolate. Non si fa più neppure finta, potremmo dire. O, con una frase resa famosa da un altro X (Files): la verità è la fuori, basta volerla guardare.

È, certo, un cambio di fase. Perché se il rapporto tra principi/dottrina democratica e funzionamento concreto dei sistemi liberal-democratici non è mai stato perfetto e si è via via eroso nel tempo, una così marchiana negazione dei suoi rituali consolidati e delle sue rappresentazioni pubbliche nei momenti più solenni – come appunto l’insediamento presidenziale – è una svolta non solo simbolica, ma sostanziale. Questo, forse anche più dei 42 ordini esecutivi subito firmati nel giro di 12 ore, rappresenta la vera cifra della posta in gioco, il segno del cambiamento in atto sul futuro delle democrazie.

Dal punto di vista sostanziale, infatti, il legame diretto tra capitale e istituzioni politiche non è certo una novità. Donald Trump non è l’unico leader mondiale ad avere come “socio” un miliardario del settore tecnologico che agisce come il regolatore de facto del settore e delle attività economiche, senza dover rendere conto dei suoi interessi personali. Il premier britannico Kier Starmer ha appena consegnato le chiavi dell’economia britannica a Jeff Bezos scrive, sempre su X, Cory Doctorow

La Competitions and Markets Authority del Regno Unito, l’ente incaricato di indagare e punire i monopolisti tecnologici (come Amazon), è stata infatti affidata a Doug Gurr, l’uomo che dirigeva Amazon UK! Il lupo a guardia del gregge.

Assistiamo all’accelerazione parossistica di un fenomeno in qualche misura sempre esistito, che già nel 2011 Janine Wedel definiva come “élite ombra”. Una nuova razza di power broker domina la nuova scena del potere dove politica e capitale si intrecciano in modo più stretto che mai. Una razza il cui successo è dovuto alla capacità di aprire nuove strade in materia di conflitto di interessi, dove la confusione tra interessi collettivi e interessi privati si dipana non in violazione della legge, ma all’interno dei suoi confini. “Non c’è conflitto di interessi, perché siamo noi a definire gli interessi”, ci dice l’immagine dei tecnocapitalisti in fila all’insediamento di Donald Trump.

Anche la post-democrazia, però, ha bisogno dei suoi riti. Il discorso del Presidente Trump di fronte ai tecno-capitalisti seduti nei p

osti migliori ha incluso espliciti riferimenti al “destino manifesto” dell’America, affermando che sotto la sua presidenza gli Stati Uniti si considereranno una nazione che “espande il proprio territorio”. Ha parlato con affetto del passato colonialista che ha fondato il Paese a spese delle popolazioni che già vi abitavano e ha promesso di prendere il controllo del Canale di Panama. Il capitale non conosce frontiere e così l’azione politica che, da sempre, ne accompagna l’espansione.

X: @FilBarbera