Dries. I giorni del pensiero cagnolino è un libro che ho amato prima ancora che venisse scritto. Dell’autore, Vittorio Zambardino – che conoscevo di fama, come ideatore e responsabile editoriale del sito Repubblica.it online dal 14 gennaio del 1997, e autore del fortunato Internet. Avviso ai Naviganti scritto con Alberto Berretti e pubblicato nel 1995 da Donzelli – avevo letto questo suo post sul suo profilo Facebook: «Quasi alla fine di un attraversamento di Roma per motivi banali, mi fermo al semaforo di Santa Croce in Gerusalemme. Nell’aiuola c’è un tubo che innaffia o perde e dal quale esce un getto sottile ma energico d’acqua. Un pastore tedesco ci si avventa sopra, non per bere ma per chiudere la falla, lui mangia l’acqua per fermarla. Si allontana, vede che il getto continua, si avventa di nuovo. Lo fa tre, quattro volte, e io mi commuovo per l’innocenza di questo gioco: è il “pensiero cagnolino.»
Quando Tim Berners-Lee se ne andò da Ginevra, perché quel genio di Rubbia riteneva che non rientrasse nella mission del CERN promuovere quell’idea di uno dei più importanti informatici del 900, parliamo del WWW, e prese al volo la proposta del MIT di Boston, dove nel 1994 fondò il World Wide Web Consortium, Vittorio Zambardino frequentava il Lab del Massachusetts Institute of Technology per conto del gruppo editoriale per cui lavorava.
Probabilmente fu il contrasto del post con l’idea che mi ero fatto di lui o forse perché il mese precedente avevo letto una lettera del 1983 di Anna Maria Ortese a Guido Ceronetti (ora inclusa in Le Piccole Persone) dove scrisse: «Il dolore degli animali è ormai il primo dei miei pensieri, e giudico perfino il ‘genio’ da quel rapporto: se c’è o non c’è, con l’indignazione.» Avevo anche letto in quel periodo due testi del filosofo Piero Martinetti, La psiche degli animali e Pietà verso gli animali e sentivo nei capitoli di Dries lo stesso suono, lo stesso dolore, la medesima consolazione. Morale della favola: avvertivo in questa lettera a un cane l’urgenza di trovare un luogo e una forma lieve, dopo le tre voluminose antologie di oltre tremila pagine dedicati a La poesia degli animali (domestici, selvatici e uccelli).
Il rispetto che vedevo trasparire verso la piccola persona Dries, non più alta di venti centimetri, e senza moine animaliste, mi ha consegnato un entusiasmo confermato da chiunque mi ascoltasse quando leggevo dei brani. Il 29 gennaio del 2025 Dries. I giorni del pensiero cagnolino sarà disponibile. Lo considero un dono. (LS)
Uno può scrivere una storia tersa, oggettiva, con tutti i crismi del racconto, come Flush di Virginia Woolf o scrivere del cane con tutti i diversi approcci che hanno prodotto il piccolo boom editoriale di questi ultimi due anni. Io l’ho fatto nella forma di questo diario, badando sempre di tenerti vicino, Dries, per non perdermi nelle digressioni. Già, ma “che cosa” è questo amore fra specie diverse? E soprattutto come si fa a raccontarlo fuori dai canoni umani, cioè rinunciando alla pretesa di misurare il comportamento canino sul metro del pensiero e dei valori umani? È poi questa un’operazione possibile? Per esempio, che cosa significa che “quel cane è molto intelligente” o che “è stupido”, “aggressivo”, “pigro”? Sono tutte immagini che attingono ancora al deposito della fantasia umana e dipingono con la tavolozza dei colori umani chi umano non è. Per questo motivo qui ho parlato di “pensiero cagnolino”, pur sapendo che il salto di specie non è possibile. Non posso pensare con la tua testa. L’ho già detto, lo ripeto: non ho nessuna ambizione di carattere scientifico, questo mio testo non contribuirà a conoscere meglio i cani, perché questa conoscenza non mi interessa. Mi interesserebbe cambiare la posizione umana rispetto al cane, soprattutto quella di coloro che un cane nella loro vita lo accettano e ne fanno una componente della loro esistenza.
Per gli altri, quelli che se ne tengono lontani basterebbe che si facessero contagiare dalla simpatia per loro: se ti attraversa la strada mentre tu corri, non è il cane di un trasgressore che non tiene conto dei regolamenti comunali. È un cane che insegue un odore, come un uccello la corrente d’aria, come un colpo di vento ubbidisce alle leggi della fisica. Basterebbe accettare in un angolo della propria mente l’idea che la Terra non è tutta nostra: che questo prato è anche delle formiche che ci fanno le loro tane, dei passeri che mangiano le zanzare, delle cornacchie che predano i passeri, dei gabbiani che mangiano la nostra spazzatura.
Appunto, la nostra spazzatura. Condividiamo un ambiente, non è il nostro feudo, padroni della vita e della morte dei nostri animali. Mesi fa leggevo l’intervista di un amministratore di una regione i cui boschi sono “infestati”, così scriveva il giornalista, dagli orsi. L’assessore lamentava le regole protezionistiche (poi l’orsa in questione l’hanno ammazzata comunque) che hanno permesso agli orsi di invadere i nostri abitati, insediamenti che sono a volte nel cuore del bosco. Chi è l’invasore e chi l’invaso qui, se costruisci le tue case vacanze dove c’erano larici e abeti? Si potrebbe continuare con le grida del maiale ucciso, col suo sangue, il suo dolore, con la chiacchiera reificata che parla di cucina come di un segno di civiltà dei popoli e del nostro popolo e sta solo parlando di animali uccisi, squartati, appesi. Togliamo l’audio e il video a tutti questi argomenti che rischiano di trasformare il diario di un uomo anziano col suo cane in un verboso comizio. Chiedo perdono se ho ceduto qui e altrove alla tentazione ideologica.
Vi chiedo solo: perché quando parlate di un cane non vi si incrina la voce per la commozione? Perché la sua sofferenza è così altra da voi? Non che manchi chi riesce a tenere la voce ferma anche rispetto agli umani. Non facciamo esempi, rischiamo, in questi tempi, di impelagarci in discorsi complicati e io non ho più tempo da perdere con le militanze. Di fatto l’edificio della mente umana ha più piani. Dove sta la politica, dove sta la “razionalità”, dove sta la maturità non arriva la compassione per gli animali e spesso manca quella per gli umani. Questo vecchio i piani li ha visitati tutti e adesso che il suo giro per il palazzo volge alla fine, non ha più voglia di frequentare i piani alti. Parla di cani e di animali piccoli. Della loro fragilità, del loro essere come farfalle col vento. Si spostano dove noi passiamo, ci fanno strada, vivono nella dittatura umana.
Vedete che mestatore e imbroglione è questo autore? Sta anche lui sfuggendo alla sua propria domanda: che cos’è l’amore per il cane? Per il suo cane? Sì, certo lo spazio concettuale è lo spostamento, peraltro solo intenzionale perché impraticabile sul piano fattuale, del non usare categorie “dal punto di vista umano”. Peccato che anche questa operazione sia frutto di intelletto umano, perché come il cane è prigioniero del suo corpo, come il dolore non esce mai dal tetto rappresentato dalla sua schiena, e a noi pare perciò allegro o indifferente, così anche noi non possiamo evadere dalla nostra mente, dalla nostra cultura, dai nostri linguaggi.
La scrittura stessa è operazione solo nostra. La distanza è incolmabile, il ponte fra noi e loro non resta che wishful thinking, come l’arcobaleno sul quale dovremmo incontrarci una volta morti, come l’angelo con la coda, come il paradiso dove ci aspettano tutti i nostri cani. Io e te passeggiamo sul bordo dell’esistenza, di là i ricordi di ciò che è stato ed è stato fatto. Di qua il nulla, nel quale, con grande attenzione, proviamo a non cadere.