Non è semplice orientarsi nel vasto, eterogeneo e talvolta discontinuo universo dell’istruzione in Italia, che si divincola da progetti avveniristici in stile PNRR fino a carenze strutturali che spesso rendono impossibile la presenza di una “biblioteca scolastica” all’interno degli istituti. Le grandi riforme proclamate negli ultimi anni non si sono sinora mostrate in grado di far fronte alle aspettative, e di fronte ad una platea di studenti recanti esigenze informative sempre nuove, il nostro sistema di istruzione si presenta ancora eccessivamente rigido, popolato da professionisti che presentano un’età media di più di 50 anni (dato 2010 – 2019 – fonte Education at a Glance – OECD).
Se modificare tale sistema nel breve periodo risulta nei fatti impossibile, allora è chiaro che diviene centrale la possibilità di “integrare” il sistema di istruzione formale con percorsi, aggiuntivi, che sappiano ben dialogare con le istituzioni culturali del territorio e anche con le stesse istituzioni scolastiche.
Un sistema d’offerta “culturale e di tempo libero” che nel tempo ha cessato di esistere, ma che per molti anni ha rappresentato una dimensione importante della formazione degli individui, e che potrebbe tornare ad avere una propria centralità nella vita degli individui, contribuendo altresì al progressivo riposizionamento del concetto di collettività.
I grandi cambiamenti che si sono susseguiti nel corso degli ultimi venti anni hanno generato, senza dubbio, una sempre maggiore parcellizzazione sociale, sviluppando, in tutte le fasce d’età, un consumo del tempo libero individuale, che, necessariamente, ha generato una tendenziale riduzione dedicata al tempo libero collettivo.
Parallelamente, si è altresì assistito alla formazione di un’offerta formativa specifica, da sempre presente nel nostro territorio: se si pensa all’età scolastica, e soprattutto l’età che copre quelle che un tempo si chiamavano scuole elementari, l’offerta privata in questo senso è piuttosto ricca in quasi tutto il territorio: lezioni di musica, sport, fino ai sempre più richiesti corsi di lingua.
Ampliando la riflessione, altrettanto diffuse sono le organizzazioni che si rivolgono principalmente alla silver-age, con l’offerta di escursioni, gite, percorsi culturali, corsi di teatro, gruppi di lettura, o attività legate più propriamente al benessere, come percorsi di ginnastica, yoga, e altre offerte analoghe.
Malgrado questa estensione abbia in qualche modo fatto sì che la domanda e l’offerta di servizi dedicati al tempo libero riuscissero ad incontrarsi, la dimensione che ad oggi risulta essere pienamente soddisfatta è quella prettamente “individuale”, che si sviluppa, nei fatti, attraverso una specifica segmentazione degli interessi.
È una dinamica che è da un lato figlia della tendenziale specializzazione dei saperi, le cui espressioni raggiungono il culmine più alto nelle tecniche di profilazione degli algoritmi social, che spesso inseriscono gli utenti in veri e propri “funnel”, termine con il quale si designa, nel marketing, una serie di contenuti pertinenti agli utenti in base al proprio comportamento, condizione che è ottimale se si intende vendere un dato prodotto o servizio, ma piuttosto inaridente quando tale tecnica viene utilizzata su contenuti informativi, opinioni, idee.
Nell’attuale offerta contenutistica, sempre più pervasiva e sempre più individualizzata, lo sviluppo del tempo libero si dipana attraverso una sempre più attenta focalizzazione delle attività, che spesso si riverberano non solo nell’insieme delle conoscenze personali, ma anche nelle dimensioni più prettamente sociali.
Ciò conduce, inevitabilmente, anche ad una polarizzazione della socialità, che tuttavia genera una collettività segmentata, con pochissimi spazi e opportunità di confronto.
Tale esigenza, che pur inserendosi all’interno del contesto del tempo libero e che quindi ben si colloca all’interno di quello scenario di domanda e di offerta di servizi ad esso dedicati, differisce tuttavia da quella dimensione pubblica e collettiva cui il tempo libero in qualche modo assolveva.
Tale dimensione, che dunque si riferisce alla collettività nella sua interezza, è tale da rendere non del tutto inadeguato l’utilizzo di tecniche ascrivibili alle politiche cross-culturali (o transculturali nella traduzione più corretta), che pur nate nel contesto anglosassone per avvicinare persone afferenti a culture molto differenti tra loro, in una dimensione ridotta e adeguata, potrebbero favorire la formazione di un confronto e auspicabilmente ad un dialogo tra persone che, pur presentando differenze culturali inferiori rispetto a quelle riscontrabili in un gruppo multietnico, non hanno modalità di relazione.
In questo senso, val forse la pena ripensare ad una tradizione antica del nostro Paese, e vale a dire al rinnovato ruolo che, in questo contesto, possono acquisire le scuole civiche.
Nel tempo, le scuole civiche hanno modificato spesso il proprio ruolo nel generale universo formativo del nostro Paese: da scuole corporative a complemento del sistema pubblico, fino a divenire scuole di specializzazione e infine scuole dedicate ad “arti e mestieri”. Come indicato in precedenza, parte del proprio ruolo è oggi assolto da enti privati riconosciuti, sia a livello regionale che a livello nazionale, che erogano corsi di formazione spesso professionalizzanti, o da altri enti, pubblici, privati o del terzo settore, che svolgono attività più prettamente dedicate al tempo libero. Ciò pone dunque le scuole civiche in una condizione di tendenziale precarietà di senso, imponendo ancora una volta un ripensamento per questo tipo di istituzione.
Un ripensamento che potrebbe prendere le mosse proprio dalle esigenze collettive di dialogo e confronto all’interno della comunità, e dalla necessità di sviluppare una dimensione integrata dell’offerta di servizi dedicati alla formazione extra-istituzionale e al tempo libero.
In questo senso, un primo passo potrebbe essere rappresentato dall’identificazione di luoghi di comunità, vale a dire spazi, distribuiti in modo uniforme nel tessuto urbano, dedicati all’aggregazione dell’attuale offerta privata, e alla definizione di punti di riferimento per la socialità cittadina.
A seguito della grande bolla dei centri polifunzionali, restaurati con fondi UE e poi spesso tornati in condizioni di sub-utilizzo, potrebbe dunque ipotizzarsi una strategia di valorizzazione degli immobili che, pur prevedendo una dislocazione sub-cittadina venga coordinata da una visione centrale, consentendo così il perseguimento di politiche di gestione dimensionali efficaci in termini di offerta ed efficienti in termini di gestione.
In tali luoghi, la pubblica amministrazione potrebbe rendere disponibili slot orari dedicati alle organizzazioni che già erogano formazione in ambito privato, prevedendo delle forme di locazione non proibitive, e basate sulla condivisione di intenti (e di costi). A partire da tali luoghi, l’Amministrazione potrebbe poi iniziare a creare sinergie con altre istituzioni culturali, come le biblioteche, i musei, gli archivi, le aree archeologiche, e ancora con soggetti privati pur attivi nel segmento culturale, come le gallerie, le librerie, i negozi di giochi e videogiochi.
Tale condizione permetterebbe un accentramento dell’offerta, e permetterebbe altresì la possibilità di creare “nuovi corsi”, spesso non sostenibili in ambito privato, ma di cui si sente vivamente l’esigenza.
Si pensi, ad esempio, a lezioni sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale, tenute da professionisti del settore, o allo sviluppo di corsi di istruzione finanziaria (nome in uso per questo genere di corsi, ma probabilmente da modificare), o di economia domestica (naming altrettanto modificabile). Corsi introduttivi di programmazione applicata (dove non si impara la “programmazione” ma si impara ad usarla). Corsi di storia locale, e via discorrendo.
Tutti questi corsi, così specializzati, è difficile possano raggiungere un target specifico a livello di quartiere.
Prevedere una gestione centralizzata, a fronte della quale poter prevedere anche “tariffe in abbonamento”, potrebbe consentire di raggiungere un target sufficientemente ampio di persone, così come consentirebbe una programmazione delle lezioni che circuiti nelle varie scuole civiche della città (in caso di città di medio-grandi dimensioni), così da facilitare la partecipazione di tutti i cittadini.
Soprattutto, la possibilità di ospitare, all’interno dello stesso luogo, corsi ed iniziative rivolte a target così ampi di persone, permetterebbe la gestione di servizi aggiuntivi (caffetteria, ecc.) che potrebbero incrementare la sostenibilità dell’iniziativa, e la creazione di spazi condivisi, durante i quali persone molto differenti tra loro per estrazione, età ed interessi, inizierebbero banalmente a “salutarsi”, a “riconoscersi”.
L’Italia investe in istruzione e in formazione quantitativi di denaro molto ingenti. Ne investe altrettanti in gestione degli immobili in disuso. Ne investe in politiche sociali attive per far fronte ai rischi dell’isolamento sociale.
La costituzione di una rete di centri di questo tipo potrebbe favorire lo sviluppo di tantissimi elementi: dalla connessione tra persone (che nei centri medio piccoli spesso agevola anche i processi di Matching tra domanda e offerta di lavoro), alla definizione di percorsi in grado di sviluppare competenze che, nell’attuale sistema scolastico, è sicuramente possibile erogare, ma con costi davvero molto elevati.
Condizioni che probabilmente, potrebbero rendere effettivamente utile ripensare al ruolo delle scuole civiche, e sviluppare, su base rigorosamente locale, degli interventi di sperimentazione concreta.