Luglio 2025

Diritti delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo con disabilità

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Discorso – Conferenza Stampa al Senato della Repubblica
Roma, 3 luglio 2025

Testimonianze lavorat dello spettacolo con disabilità

“Non può partecipare al corso, non per mancanza di titoli, ma perché la scuola non è accessibile”

“La tua voce è adatta per la parte, ma non posso prenderti perché non so se i teatri in cui ci esibiremo sono accessibili”

“I camerini non sono accessibili, dovrai cambiarti nel bagno del bar qui di fronte”

“Non ho tempo di adeguare la coreografia alla tua fisicità”

“Purtroppo non prevediamo compenso per l’assistenza personale per cui dovrai pensarci tu”

Buon pomeriggio a tutt, queste sono solo alcune delle innumerevoli frasi che molte persone con disabilità che lavorano nella musica, nel teatro e nella danza, si sentono dire nella quotidianità e oggi sono qui per raccontarvi di queste esperienze.
C’è chi ha studiato canto per anni ma non ha potuto entrare nella scuola che sognava perché non c’erano ascensori. Chi ha superato provini su provini, ma è stata esclusa/o perché nessuno voleva “assumersi la responsabilità” di avere una persona con disabilità in compagnia.
C’è chi ha rinunciato a produzioni teatrali perché i costi dell’assistenza personale erano a suo carico. Chi ha lavorato senza guadagnare nulla, perché l’intero cachet è servito a pagare l’assistente. E poi c’è chi ha perso la pensione di invalidità per aver accettato un contratto precario e mal pagato.
Ci sono artistə che si cambiano nei bagni del foyer o in macchina, perché i camerini non sono accessibili. Che vengono sollevatə di peso per raggiungere un palco, mettendo a rischio la propria sicurezza e quella di chi aiuta. Che attraversano cortili, scalini e passaggi esterni ogni volta che devono andare in bagno, consumando energie che dovrebbero essere dedicate alla scena.
Ci sono coreografi che non sanno – o non vogliono – adattare una coreografia. Registi che rinunciano ad integrare. Scuole di danza dove durante un esercizio sensoriale si ride delle persone neurodivergenti.
C’è chi arriva a un festival e scopre che la camera d’albergo scelta dalla produzione non è accessibile e per tre giorni non può nemmeno fare una doccia dopo le prove. Chi, la sera della cena con i produttori, resta fuori dal ristorante per via di due rampe di scale e perde l’occasione di far conoscere il proprio lavoro.
Ci sono teatri che chiedono di provare e montare tutto in 30 minuti, senza capire che per alcune persone non è una richiesta logistica: è un’esclusione mascherata da tabella di marcia.

Tutto questo accade in Italia. Oggi.

E non parliamo di eccezioni: parliamo di una struttura. Di una cultura che considera le persone con disabilità come un problema da gestire e non come protagoniste del mondo artistico. Una cultura che impone sacrifici sistematici a chi dovrebbe solo poter creare, formarsi, esprimersi, lavorare. L’accessibilità non è una gentile concessione. È la misura del nostro impegno per una società in cui la libertà e la bellezza siano davvero per tuttə.