Luglio 2024

Istituzioni, patrimonio e comunità

Pubblichiamo un estratto dal saggio di Alessandro Bollo contenuto in La partecipazione alla gestione del patrimonio culturale

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Nell’ambito del più generale tema sulla partecipazione alla gestione del patrimonio culturale e sul ruolo delle comunità si intende qui portare un contributo che parte da una prospettiva molto specifica, ovvero quella delle istituzioni culturali (penso ai musei, ma anche alle biblioteche e ai diversi centri culturali ibridi e multifunzionali) che sempre di più interpretano il loro mandato anche come “luoghi” (fisici, relazionali e digitali) a cui è richiesto di attivare e strutturare patti e processi di natura partecipativa, collaborativa e dialogica nei confronti di specifiche comunità di riferimento.

Si tratta di un cambiamento significativo che è il risultato di processi strutturali che si sono stratificati e interconnessi negli ultimi decenni e che riguardano la diversificazione del ruolo delle istituzioni culturali, la loro collocazione nell’ambito delle politiche socio-culturali e urbane, e una ritrovata rilevanza delle comunità (la cui definizione ha subito nelle ultime due decadi un processo di problematizzazione e riaggiornamento rispetto alla lettura sociologica classica) nell’ambito dei processi partecipativi, dell’attivismo civico e all’interno di quell’ampia fenomenologia della sussidiarietà orizzontale che ha toccato anche il mondo della cultura e dei beni culturali. Per quanto riguarda il primo aspetto non si può, ovviamente, non segnalare il valore emblematico della recente definizione di Museo prodotta dall’ICOM nell’agosto del 2022 dopo un lungo e travagliato processo che ha visto coinvolti 126 comitati a livello mondiale e che così recita:

Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze.

Tra i molti elementi di novità, qui rileva evidenziare il riferimento esplicito ai concetti di accessibilità e inclusione, la promozione della diversità e della sostenibilità e il ruolo delle comunità cui viene chiesto di partecipare, condividere conoscenze e competenze e collaborare per favorire l’operato dei musei e per migliorare l’esperienza che essi offrono. Si tratta di aspetti peculiari che non trovavano accoglienza nelle precedenti definizioni e che testimoniano della volontà di richiamare il ruolo sempre più attivo dell’istituzione museo nei confronti dei grandi cambiamenti e delle grandi sfide del tempo presente.

La partecipazione alla gestione del patrimonio culturale sarà presentato l’11 luglio alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, alle ore 17.00 con Alessandra Vittorini parteciperanno Chiara Faggiolani, Francesco Mannino, Filippo Tantillo. Modera Silvia De Felice

Ingresso consentito fino a esaurimento posti
con prenotazione entro le ore 13:00 del 10 luglio 2024
al link https://bit.ly/Partecipazione-iscriviti-al-seminario

Colpisce, nell’economia di un processo definitorio che ha la- vorato per riduzione all’essenziale e per negoziazione tra le diverse sensibilità a livello mondiale (forse, non sorprendentemente, si parla di promozione della diversità e sostenibilità e non di promozione della democrazia), il riferimento esplicito alla partecipazione delle comunità nel contributo al perseguimento del mandato istituzionale che indirettamente sembra rafforzare il portato della Convenzione di Faro e il ruolo delle comunità di patrimonio.

In questo percorso di risemantizzazione la parola museo rimanda, pertanto, all’idea di un organismo plurale e collettivo che si alimenta anche delle comunità che lo sostengono e che a sua a volta contribuisce ad alimentare. Si caratterizza per essere anche un luogo di costruzione e di abilitazione di comunità in cui “il valore proprio viene misurato sulla base della quantità e della qualità delle relazioni instaurate” (Symbola 2019, p. 9). Per completezza di riflessione occorre ricordare come l’approccio partecipativo e comunitario non sia una novità nella storia recente dei musei – si pensi in particolar modo alla riflessione teorica della Nouvelle Muséologie, alla nascita dei musei comunitari e degli ecomusei nel corso degli anni sessanta e all’esperienza paradigmatica dell’Anacostia Neighborhood Museum di Washington come prototipo del “museo di quartiere” che, secondo le parole del suo direttore John Kinard, doveva ripensarsi come “uno spazio privo di collezione ma animato dal dialogo costante con la comunità, coinvolta a pieno titolo nelle attività espositive e didattiche” (Bollo 2011).

A distanza di diversi decenni il tema della partecipazione comunitaria ritorna di attualità nell’ambito di una situazione generale (diventata ormai globalizzata) che è però radicalmente mutata a partire dalla messa in discussione di quella consumer culture che proprio in quegli anni si stava imponendo come egemonica e dal protagonismo di culture partecipative emergenti caratterizzate da propensione all’attivazione individuale e collettiva e da barriere all’espressione artistica e al coinvolgimento civico relativamente basse.

Nel 2006 Henry Jenkins parlando di “cultura convergente” e del portato trasformativo delle intelligenze plurali e collettive affermava che era importante garantire contesti e situazioni in cui “non tutti devono contribuire, ma in cui tutti credono di essere liberi di contribuire e confidano che il loro contributo verrà preso in considerazione” (Jenkins 2007). Pochi anni dopo, la grande crisi economico-finanziaria avrebbe steso una patina di disillusione e di revisione critica rispetto alla grande euforia nei confronti di quei nuovi modelli a driver digitale in cui lo sharing era per forza anche caring e sarebbero emersi con evidenza i pericoli derivanti da logiche di sviluppo basate su ineguali e sperequate forme di estrazione e ripartizione del valore tra i soggetti implicati nella filiera della condivisione collettiva. Rimane, cionondimeno, una casistica molto ampia e articolata di esperienze di natura collettiva e comunitaria che nell’ultimo decennio si sono occupate di conservazione, cura e gestione del patrimonio materiale e immateriale e che hanno sperimentato modelli inediti di innovazione sociale a base culturale su cui si tornerà in seguito.

Per le biblioteche si può rinvenire un percorso ana- logo a quello dei musei in quanto a revisione e problematizzazione del loro ruolo e delle loro funzioni istituzionali, a una maggiore centralità rispetto alle diverse istanze di sviluppo socio-culturale e territoriale e a forme di interazione più strutturate e consapevoli con le comunità territoriali. Nel documento programmatico dell’AIB Disegnare il futuro della biblioteca. Linee guida per la redazione dei piani strate- gici per le biblioteche pubbliche si fa esplicito riferimento alla Convenzione di Faro laddove si richiama al concetto di patrimonio (inteso qui come patrimo- nio di documenti e di comunità) che è centrale sia con riferimento alle collezioni sia alla comunità di persone che con esse interagiscono evidenziando come “il diritto al patrimonio culturale sia inerente al diritto di partecipare alla vita culturale, così come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”. Nello stesso documento si richiama alla necessità che le biblioteche operino per attivare le comunità: “le comunità al plurale rappresentano un mezzo e un fine per la biblioteca pubblica e danno senso all’azione quotidiana del servizio bibliotecario”.

Chiara Faggiolani ha evidenziato come le biblioteche, in relazione alla prospettiva della Convenzione di Faro, possano rappresentare luoghi in grado di generare processi di reciproco riconoscimento fra persone, beni e territorio e di rafforzamento dei processi identitari (Faggiolani 2022), nel senso auspicato da Luca Dal Pozzolo di identità fluide e aperte perché “il patrimonio non serve più la retorica nazionale, ma partecipa alle costruzioni sociali e identitarie contemporanee” (Dal Pozzolo 2020, p. 72).

Non è, infine, un caso che Ezio Manzini e Michele D’Alena parlando di servizi pubblici collaborativi si riferiscano alle biblioteche come luoghi dinamici che “sono diventati punti di riferimento per le associazioni culturali del quartiere e, allo stesso tempo, essendo connesse con altre biblioteche, luoghi in cui le reti corte della cultura locale si intrecciano con quelle lunghe, delle iniziative cittadine e internazionali” (Manzini e D’Alena 2023). Coerentemente con queste posizioni diventa pertanto importante dare visibilità al ruolo che i servizi bibliotecari possono e debbono svolgere per garantire la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, sottolineando quanto sia importante far crescere la consapevolezza e il riconoscimento delle responsabilità individuali e collettive nei confronti dell’eredità culturale, per garantire lo sviluppo umano e la qualità della vita, come recita appunto la Convenzione di Faro.