Lessico per le arti del XXI secolo
Mettere al mondo il mondo è il titolo di un’opera degli anni settanta di Alighiero Boetti: tutte le lettere dell’alfabeto sullo sfondo di un foglio di carta colorato di blu con una penna biro. È anche pensando a quest’opera che ci è venuta in mente l’idea di questo lessico.
Un lessico per riscrivere il mondo, o meglio quella parte di mondo che riguarda le pratiche artistiche. Iniziare quantomeno a farlo, porre il problema di una necessità, vale a dire quella di ripensare il vocabolario dell’ambito specifico nel quale ci muoviamo, è l’urgenza dalla quale siamo partiti. Del resto con le parole si fanno cose, è con le parole che la realtà si fa e si disfa in continuazione, è con le lettere e i segni che appunto si mette al mondo il mondo. Allora è quando il mondo che abbiamo alle spalle non smette di tramontare e quello nuovo fatica a venire a galla che diventa indispensabile ricominciare a nominare il mondo con parole che ci aiutino a disegnarlo secondo un desiderio collettivo e condiviso.
Partendo dal presupposto che quello che stiamo attraversando sia un salto di paradigma che muta l’ordine del discorso e quindi trasforma radicalmente il significato e il senso delle parole, l’intenzione è stata quella di concentrarsi su alcuni lemmi. Dodici per l’esattezza. Le parole sono queste: autore, cura, disapprendimento, femminismo, intelligenza artificiale, movimento, museo, paesaggio, parola, pop, queer, trauma. Che qui trovate declinate da altrettanti studiosi che si muovono tutti all’incrocio tra la filosofia, la storia dell’arte, l’antropologia culturale, la teoria politica e le pratiche artistiche. Il sapere e le pratiche artistiche incrociano ambiti molteplici che vanno dalle scienze umane e sociali alle tecno-scienze e anche per questo quello dell’arte risulta oggi un campo strategico dentro in quale è importante imparare a muoversi.
Ma perché parliamo di un salto? È possibile pensare che quello che abbiamo chiamato postmoderno indichi in realtà l’inizio di una trasformazione molto più radicale di quanto non si sia compreso nel dibattito internazionale degli anni ottanta e novanta del XX secolo. Non si tratta solo della fine dei grandi racconti, della fiducia riposta in essi, né semplicemente di una nuova fase mondiale del capitalismo in cui la verità metafisica si dissolve in una molteplicità di interpretazioni diverse. Come è già accaduto in altre epoche storiche, probabilmente ci troviamo dentro una mutazione che segna il passaggio tra due civiltà diverse. Se la tarda antichità – quella dell’industria artistica studiata da Alois Riegl ‒, è il periodo che divide il mondo classico greco-romano dal cosiddetto Medioevo, l’epoca della manifattura è quella che, per dirla con Franz Borkenau, segna la transizione dall’immagine feudale all’immagine borghese del mondo.
Ora la fuoriuscita dalla civiltà nata dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese annuncia un mondo diverso in cui a trasformarsi sono i saperi, le strutture cognitive e percettive, e quindi i fondamenti antropologici stessi delle nostre culture. È in queste congiunture storiche che si reinventano gli alfabeti e si ricomincia a nominare il mondo con parole diverse.
Se è vero che le estetiche hanno sempre anticipato le politiche, oggi più che mai le arti sono strumento non solo per comprendere il mondo ma anche per (ri)farlo. Proprio quando iniziamo oltrepassare la semiosfera determinata dalla rivoluzione gutenberghiana che ha imposto per diversi secoli l’assoluta centralità della parola scritta come mezzo di manifestazione, conservazione e trasmissione di una cultura, l’espressione artistica si rivela uno straordinario mezzo attraverso il quale guarire da quelle crisi della presenza di cui parlava Ernesto De Martino. Non riuscire più a orientarsi nel mondo, non essere in grado di riconoscerlo e quindi rischiare di scomparire o sopravvivere in uno smarrimento perpetuo e invalidante. Siamo convinti che per evitare questo pericolo e riuscire a “stare” in questa transizione nella quale viviamo il sapere che viene dalle pratiche artistiche sia un patrimonio da mettere a frutto. Se nei primi decenni del XX secolo László Moholy-Nagy sosteneva che l’analfabeta del futuro sarebbe stato non colui che non avrebbe saputo leggere, ma quello che non sarebbe stato capace di capire la fotografia, noi sosteniamo che nel XXI secolo, in una società postalfabetica, la conoscenza non possa che passare attraverso saperi che scavalcano la contrapposizione binaria tra oralità e scrittura. Ecco perché non è un caso che questo libro sia nato dentro un’Accademia di Belle Arti, l’istituzione che in Italia si occupa della formazione artistica universitaria delle giovani generazioni.
Il Lessico per le Arti del XXI secolo nasce infatti da un convegno organizzato presso l’Accademia di Belle Arti di Sassari nei giorni 12 e 13 maggio del 2025. I 12 autori delle voci che potete leggere qui, ovvero oltre allo scrivente, Tommaso Ariemma, Elena Bellantoni, Sonia Borsato, Ilaria Bussoni, Ilenia Caleo, Francesco D’Isa, Giulia Grechi, Davide Mariani, Raffaella Perna, Viviana Vacca, Federico Zappino, si sono riuniti in due giornate durante le quali hanno lavorato alla costruzione di un lemmario che vuole essere un primo strumento di consultazione e ricerca rivolto certamente agli studenti, ma anche agli artisti, ai critici, ai filosofi e in generale a chiunque sia interessato a questa nostra mondanità. È un primo passo: l’ambizione è quella di dare inizio a un lessico tascabile per il XXI secolo che, in qualche modo, funzioni anche come uno strumento di terapia collettiva. Come forse sarebbe piaciuto a Mark Fisher.
Saper leggere coincide sempre con un’espansione dell’autonomia e della felicità di ogni singolarità, e per questo cominciare a (ri)dire il mondo coincide anche con un principio di guarigione.
Qui vi offriamo un’anteprima di quello che troverete nel Lessico.

Autore
Stando all’etimologia della parola l’autore sarebbe colui che accresce il sapere generale, ovvero aumenta la ricchezza collettiva. Ma le cose stanno davvero così? Guardare meglio dentro la funzione-autore ci serve a capire il ruolo strategico che questa ha occupato nella storia della nostra cultura, ma anche la relazione strutturale che intrattiene con i rapporti di produzione e quindi con le strutture sociali e politiche. La funzione autoriale è inestricabilmente legata al modo di produzione delle forme simboliche.
Nicolas Martino
Pop
Il pop è la fine dell’autonomia dell’arte. Il vero destino dell’arte contemporanea non è semplicemente la subordinazione al mercato, ma il suo poter circolare nella cultura pop. Non è solo il mercato che ingloba l’arte, ma ancor di più è il pop che la risucchia e la ricodifica. L’artista non è più un produttore di forme distinte e distanti dal mondo, ma diventa parte di un processo di co-branding, di estetizzazione diffusa, in cui l’opera non è più distinguibile dal prodotto. Ma esiste ancora una differenza tra opera d’arte e prodotto?
Tommaso Ariemma
Intelligenza artificiale
Da qualche anno, quando diciamo “intelligenza artificiale” non pensiamo più a un film di fantascienza, ma a uno strumento integrato nei nostri flussi quotidiani. In meno di tre stagioni, i modelli generativi hanno superato i 400 milioni di utenti settimanali e come l’elettricità alla fine dell’ottocento stanno diventando parte della nostra infrastruttura. Eppure, se un autore ammette di averli usati per un’opera, scatta l’ostracismo. Ma perché l’AI può ottimizzare bilanci, e non può o non deve toccare l’arte?
Francesco D’Isa
Parola
Parlare oggi della parola significa entrare in un territorio attraversato da tensioni: tra il dire e il fare, tra il corpo e il linguaggio, tra l’intimo e il politico. La parola è il primo oggetto che ho maneggiato come artista. Con il tempo ho capito che il mio lavoro in fondo è una riflessione sul linguaggio: su ciò che può, su ciò che non riesce a dire, su ciò che produce. Oggi parlo non solo come artista, ma come corpo che ha abitato e subito le parole. Le ha scritte, le ha taciute, le ha masticate e a volte vomitate. Cosa significa lavorare artisticamente con le parole?
Elena Bellantoni
Trauma
L’etimologia della parola suggerisce una prima collocazione nel contesto medico. La definizione dei dizionari sottolinea un’alterazione violenta dell’integrità fisica: fratture, ustioni, causticazioni o contusioni. Ininfluente la motivazione, accidentale o diretta, fondamentale invece l’intensità e l’istantaneità. La dimensione emotiva contestualizza il trauma in uno scenario psichico dove si alternano fasi e teorie non sempre concordi. Come e perché il trauma è parte del nostro presente?
Sonia Borsato
Femminismo
A partire dagli anni settanta il dibattito promosso dalle studiose di orientamento femminista ha affrontato questioni complesse, tra cui la possibilità di riscrivere la storia o, per meglio dire, “le storie dell’arte” secondo un’ottica di genere in grado di restituire visibilità alle artiste escluse dal canone storiografico. Al tempo stesso è in gioco la possibilità di riconoscere non soltanto un luogo di esclusione, ma anche uno spazio di resistenza, da cui mettere in discussione il centro. Ma come?
Raffaella Perna
Queer
In che modo un termine emerso per destabilizzare i codici della norma può trovare spazio all’interno di un dispositivo come un lessico per le arti nel XXI secolo? E che cosa accade quando il queer entra in relazione con le griglie concettuali delle pratiche artistiche? Questo lemma non si colloca semplicemente all’interno di un ordine discorsivo prestabilito, ma ne perturba i confini, aprendo una soglia in cui la dicibilità della norma estetica, come di quella politica, viene sospesa.
Federico Zappino
Movimento
Vi è una risonanza costitutiva tra lo spazio pubblico e lo spazio scenico, tra scena politica e scena artistica? L’organizzazione spaziale dei corpi evoca la “forma” del teatro. Piazza e platea, scena e agorà si parlano. Il radunarsi dei corpi in uno spazio pubblico, il loro assemblarsi disordinato può generare partiture che sovvertono i tempi, i ritmi, le posture e la disposizione dei corpi tra loro, come accade nel momento di una protesta di piazza, di un’occupazione, o di un’insurrezione.
Ilenia Caleo
Paesaggio
Che farcene in un lessico per le arti del XXI secolo di una parola polverosa come quella di paesaggio? Non appena pronunciata cominciano gli sbadigli. Nei musei saltiamo volentieri la successione di lande olandesi del Seicento e guardiamo ancor meno quei fondali del paesaggio toscano o veneto alle spalle delle Madonne del Cinquecento. È difficile pensare il paesaggio diversamente dal monumento. Invece proprio paesaggio ha una attualità strategica. Perché?
Ilaria Bussoni
Museo
Il museo nasce come luogo deputato alla collezione e conservazione di oggetti rari e preziosi. Soprattutto nell’Ottocento, queste collezioni private si trasformarono in istituzioni pubbliche nazionali: pensiamo al Louvre inaugurato dopo la Rivoluzione francese. Per gran parte del novecento il museo ha continuato a essere inteso come uno spazio pubblico nel quale una società metteva in mostra ciò che considerava significativo di sé stessa. Oggi qual è la sua funzione e soprattutto quale il suo futuro?
Davide Mariani
Disapprendimento
Le parole fanno e disfano mondi. E dunque, interrogarci sulle parole del presente e del futuro, vuol dire anche desiderare e generare un certo mondo a venire. Disapprendimento è una parola che chiede a chiunque la prenda in considerazione di metterla al lavoro, di prendere una posizione, di fare una scelta: cosa sento la necessità disimparare, perché e come posso farlo? È una parola che, come tutte le parole, è immediatamente azione: fa silenzio e rumore, scuce e ricuce, rompe e ripara, rifiuta e genera.
Giulia Grechi
Cura
Questo lemma va assunto nella sua multidimensionalità, ribadendo al contempo dei confini semantici porosi che possano restituire il dialogo con altri concetti che, al tema della cura, sono indissolubilmente legati. Se il lemma rimanda a termini quali terapia, clinica, salute, benessere, il concetto reca in sé le tracce di affetti quali la sollecitudine, la preoccupazione, l’attenzione e la relazione. Cura è, infatti, cura di sé e cura degli altri, dell’ambiente e del mondo. Cosa c’è di più strategico per il XXI secolo?
Viviana Vacca