Nel pomeriggio di venerdì 8 novembre 2024, mentre c’era lo sciopero dei mezzi e la gente era obbligata a camminare tra Palazzo Reale e San Babila, evitando la metropolitana, il centro di Milano, all’altezza dell’incrocio tra via Beccaria e corso Vittorio Emanuele, è sembrato per un po’ l’Inferno, o meglio: la caricatura dell’Inferno. Fiamme rossissime accompagnate da un nerissimo fumo salivano dalle grate di un parcheggio sotterraneo dove un cortocircuito elettrico aveva generato un incendio. Appurato che di vittime non ce n’erano state e che, dunque, si poteva parlare pubblicamente del fattaccio senza il benché minimo timore di ferire i sentimenti e/o la morale altrui, ho iniziato a lamentarmi. Ho iniziato a lamentarmi della bassa, imbarazzante, da far venire i nervi qualità delle foto e dei video dell’accaduto: pare che a Milano non esistano più fotoreporter capaci di fare il loro mestiere. “Da YouReporter in poi ci siamo abituati alla mediocrità”, ha detto una persona con cui ho parlato brevemente del mio fastidio – evidentemente condiviso – per la mancanza di immagini belle dell’accaduto (Alberto Arbasino e Susan Sontag, tra i vari, erano per la riabilitazione di questa categoria, il “bello”: basta con l’“interessante” e lo “stimolante” e il “rivelatorio”).
Nel bel mezzo della mia lamentela, ho ripensato alla mostra Miracoli a Milano. Carlo Orsi fotografo, visitabile fino al 2 febbraio 2025 negli spazi al piano terra di Palazzo Morando, che avevo visto pochi giorni prima. Curata da Giangiacomo Schiavi e Giorgio Terruzzi, realizzata in collaborazione con l’Archivio Carlo Orsi e il Comune di Milano, la mostra si snoda in quattro sezioni dedicate alla città meneghina, alla moda, ai reportage dal mondo e ai ritratti. Ad aprire il percorso, però, non incasellabile, c’è la prima foto che Orsi abbia mai scattato, da ragazzino: si vedono solo le mani rugose di una donna che alla luce di una traballante lampadina appesa al soffitto – come racconta lo stesso fotografo nel video all’ingresso – reggono un giornale su cui si legge il titolo: “Cara mamma, domani sarò fucilato”. Questa “cara mamma” aveva chiesto la grazia a De Gaulle per il figlio condannato a morte in Francia: la grazia non fu concessa.
Mi lamento, guardando i video dell’incendio e ripensando alla mostra di Palazzo Morando, perché chissà che foto avrebbe fatto, delle fiamme e della schiuma bianca usata dai Vigili del Fuoco, Orsi. Orsi, uno che ha fotografato Milano per decenni interi, dagli anni ’60 alla città dell’Expo 2015, passando dalle sale della Pinacoteca di Brera alle rampe di San Siro; dall’iconico bar Jamaica alla Stazione Centrale dove “il treno del Sud” nel giorno di Ferragosto 1963 partiva verso Reggio Calabria riportando a casa chi era salito per cercare lavoro; dalle pensiline delle stazioni della metropolitana al concerto dei Beatles al Vigorelli; dai turisti stanchi e sudati al Castello ai Navigli pre-movida, ossia i Navigli con gru e mucchi di sabbia per farli diventare quelli di oggi, vale a dire gli stessi Navigli che fanno da sfondo al “Vuoi una forchettata?” in “Un povero ricco” con Renato Pozzetto. E proprio Pozzetto, insieme a Cochi, compare in due ritratti di coppia – uno di quand’erano giovani, uno scattato in anni più recenti – presenti nell’ultima delle quattro sezioni della mostra.
Il grande merito della selezione di immagini esposta a Palazzo Morando è di non aver cristallizzato Milano a quella che fu, perché Orsi ha continuato a guardarla e fotografarla fino ai giorni nostri – mi dico. Mentre finisco di dirmelo, un conoscente, che fa il fotografo e lo fa bene, mi manda le sue foto dell’incendio: e sono belle.