Meilogu, terra di mezzo, nel cuore segreto della Sardegna, dove paesaggi collinari e vulcanici si alternano punteggiati da pittoreschi villaggi, nuraghi misteriosi e antiche chiese romaniche. Bonorva è il comune principale di questo territorio: addentrandosi ulteriormente si giunge a Rebeccu, piccolo borgo medievale che a partire dal 1400 ha conosciuto un progressivo spopolamento, fino a giungere, nel 1950, a una popolazione totale di sei abitanti.
È qui che nel 2021 nasce – per volere del Comune di Bonorva, con l’organizzazione dell’Associazione Enti Locali e con il sostegno della Fondazione di Sardegna – MusaMadre, un festival rivolto all’innovazione culturale e alla promozione internazionale del territorio. Un ponte immaginario, e molto concreto, tra la Sardegna e gli Usa, reso possibile dalla direttrice artistica della rassegna, Valeria Orani, creative producer che da oltre dieci anni vive e lavora tra Sardegna e New York.
Dal 2024, MusaMadre non è più solo un festival, ma un progetto culturale complesso che si estende attraverso diverse iniziative – tra maggio e ottobre – al fine di promuovere un nuovo modo di vivere il viaggio e la permanenza nei luoghi più remoti della Sardegna e soprattutto la scoperta di una cultura millenaria.
Lontana dalle spiagge affollate, Rebeccu si pone, oggi, come centro culturale, un luogo di studio e ritiro per artisti e intellettuali, dove a dettare la linea resta comunque, sempre la natura.
Alla viglia dei primi due eventi di apertura del festival, che si terranno a New York rispettivamente il 31 maggio e il 2 giugno, abbiamo incontrato la direttrice artistica Valeria Orani, per parlare di territorio, impresa, dell’abitare luoghi abbandonati e sostenibilità, ma anche della necessità, attraverso la cultura, di trasformare il viaggio in ritiro e conoscenza dei luoghi che ci ospitano.
Com’è cominciato tutto? Ricordi un giorno, un’ispirazione, la ragione che ti ha portata fin lì?
Ho iniziato a riavvicinarmi alla Sardegna nel 2018 per un progetto di ricerca e curatela che ho sviluppato per un bando Europeo. Pur essendo emigrata tanti anni prima non avevo mai sentito il netto distacco dalla mia isola e dalle mie radici sino a che non sono arrivata a New York. In questa ricerca che aveva il titolo di AMINA>ANIMA (Soul) (www.aminaproject.org), mi soffermavo su come le radici identitarie affiorino nel lavoro degli artisti emigrati, sul richiamo che la propria terra d’origine esercita inconsciamente nella fase della produzione artistica, e su come questo richiamo nel caso della Sardegna sia anche un elemento su cui sia importante soffermarsi per capirne il potenziale e le ricadute economiche. L’Isola è infatti luogo da cui è molto spesso necessario spostarsi, per tanti motivi che non sono legati solo al lavoro o alle opportunità, ma anche al fondamentale diritto di conoscere ciò che c’è oltre il mare. L’approfondimento di questi concetti e dell’arte anche come strumentale al ritorno e alla riconnessione mi ha fatto soffermare sulle opportunità che la Sardegna offre ma che raramente sono evidenziate. Ripopolare luoghi abbandonati, inabitati o anche solo spopolati, come evidenza la mia ricerca, era una di queste opportunità. Potrei quindi dire che tutto è iniziato nel 2018, ma non sarebbe del tutto vero. L’idea di abitare i luoghi abbandonati con le arti mi ha attraversato molte volte, sin da ragazza. Che questo potesse succedere in Sardegna mi attraversò l’immaginazione pochi anni dopo che iniziai, molto giovane, a fare il mio mestiere di organizzatrice. Poi ci ho pensato in altri ambiti e in altre circostanze. Anche a New York ho provato ad elaborare dei progetti in tal senso. Sino a quel momento però, nonostante il desiderio esistesse, non avevo mai avuto la struttura adatta per sostenere un progetto di questa portata. Poi dal 2018 qualcosa si è innescato. Quello che oramai immaginavo fosse pura utopia, si è allineato in termini serendipitosi, alla reale possibilità di realizzazione. Un raggio di luce che sino a quel momento veniva costantemente bloccato e deviato da ostacoli di vario genere, qualcosa su cui non mi sono mai accanita ma che costantemente ritornava nella mia vita come desiderio, non pretesa, finalmente un giorno del tutto inaspettato bussa alla mia porta, nel momento in cui meno potevo aspettarlo.
Era il 2020 e tutto il mondo si era fermato, era il 2021 ma io ero confinata negli USA. “Ho pensato a te per la direzione di un festival in Sardegna, a Rebeccu, un villaggio disabitato”. Non potevo dire di no, anche la prima edizione l’avrei potuta seguire solo in remoto, da 6800 km e sei ore di fuso orario di distanza.
Tra gli obiettivi principali del progetto MusaMadre c’è l’idea di connettere il viaggiatore con la tradizione culturale materiale e immateriale della Sardegna. Cosa vuol dire, oggi, in un’epoca che sembra conoscere solo i modi e i tempi della massiccia turistificazione dei luoghi, immaginare invece una forma di ospitalità “diversa”?
Mi ha da sempre affascinata l’idea di viaggiare per poter vivere i luoghi e chi li abita. Un’attrazione che ho sviluppato sin da bambina, viaggiando con la mia famiglia all’interno della Sardegna. La cultura Sarda si fonda sull’ospitalità e sulla condivisione. Considero che questo sia l’elemento immateriale su cui si sviluppano gran parte delle nostre tradizioni. La cura dell’ospite, che viene idealmente preso per mano e condotto a vivere la quotidianità della casa, delle feste, del convivio, esattamente come un parente che torna dopo essere stato lontanto. Risulta in questo senso abbastanza normale che per il popolo sardo il turismo stagionale che si riversa sulle splendide spiagge venga percepito come un fenomeno mai del tutto compreso e accettato. Una fonte di reddito ma solo per pochi. La realtà postpandemica evidenzia anche in Sardegna un’ intensificazione del turismo, i centri abitati prossimi alle spiagge e agli scali aerei si stanno via via adattando sempre di più nel fornire servizi e “amenities” per il turista globale stagionale. Ma il lungo periodo di stanzialità a cui ci ha obbligato di Covid, ha anche favorito altre forme di mobilità che sono legate all’idea del viaggio come ricerca non solo dei luoghi ma anche di altri stili di vita sani a sostenibili, opposti a quelli dell’esasperazione urbana. Immaginare questa forma di ospitalità in un luogo come Rebeccu è naturale.
In questo ridisegnare e immaginare nuovi percorsi esplorativi in Sardegna qual è stato il ruolo delle imprese locali?
Dopo un primo triennio di festival MusaMadre il dialogo con le imprese locali si può dire impostato e destinato a crescere. A Rebeccu due anni fa ha riaperto l’unico ristorante del villaggio, Su Lumarzu, un punto di riferimento per chi visita e soggiorna il villaggio. Così come è importante la collaborazione con l’azienda agrituristica di Sas Abbilas, adiacente al meraviglioso sito archeologico di Sant’Andrea Priu e Mariani. Tutte le realtà del territorio che offrono servizi di ospitalità sono fondamentali per il progetto, così come importantissimo è il rapporto con le imprese che portano avanti da sempre le tradizioni del territorio, come per esempio la produzione del Zichi, un pane particolare che viene prodotto solo a Bonorva. Ma ci sono anche eccellenze nella produzione ecosostenibile, come le imprese artigiane della lavorazione del legno e come l’industria di materassi Il Ghiro. Un capitolo a parte merita il rapporto che si è creato con la realtà agropastorale del territorio con cui è nata un’amicizia e una collaborazione importante anche per i contenuti artistici stessi del progetto. La sinergia si è sviluppata piano piano ma sin da subito, complice anche il fatto che molti dei componenti del Coro Polifonico Pauliccu Mossa di Bonorva sono strettamente connessi con l’imprenditoria agropastorale. Una realtà, il coro, che racchiude in se un’altra tradizione immateriale, riconosciuta come tale dall’UNESCO, e che ha trovato nel dialogo con Musamadre la possibilità di essere maggiormente conosciuta ed esportata. È il caso che si sta verificando proprio in questi giorni a New York, dove il coro si esibirà il 2 giugno.
Fino al 2014 hai lavorato come produttrice nell’ambito dell’organizzazione dello spettacolo dal vivo su produzioni sia italiane che europee, mentre successivamente ti sei trasferita negli Stati Uniti, dove ad oggi ti occupi di mettere in relazione il mercato americano con la cultura italiana contemporanea. Quali sono le criticità e le sfide più eccitanti di questo stare a metà tra due mondi ancora oggi profondamente diversi (intendo l’Europa e gli States)?
Vivere negli US e lavorare per l’Italia è difficile per tanti motivi. Ci sono voluti dieci anni e tanta pazienza non solo da parte mia (ma anche della mia socia Alessia Esposito con cui divido la gestione della 369gradi). Abbiamo dovuto concepire un nuovo metodo di lavoro. Sarebbe molto lungo sviscerare quali siano state le criticità e le sfide più eccitanti poiché è un flusso continuo di tentativi che a volte funzionano e a volte no. Se devo sintetizzare tutto in un unico concetto mi sento di dire che la sfida più grande è stata quella di andare oltre me stessa, rimettermi completamente in gioco e utilizzando il curriculum e l’esperienza accumulati sino al 2014 in maniera del tutto diversa da come mi sarei aspettata. In questi dieci anni ho costruito qui a New York una carriera che non mi aspettavo di poter costruire e una conoscenza che oggi mi accorgo è preziosissima per chi vuole dare un senso ai propri progetti di internazionalizzazione aprendo un dialogo con questa Nazione che ha veramente pochi punti in comune con il Vecchio Continente.
In questi quattro anni MusaMadre è cresciuto tantissimo. Tanti gli artisti e gli operatori del mondo della cultura che hanno preso parte alle residenze artistiche, e tanti gli eventi che si sono susseguiti. Quest’anno, i primi due appuntamenti si terranno rispettivamente il 31 maggio e il 2 giugno, in un set non propriamente sardo, bensì New York. Cosa succederà?
Quando ho sottoposto al Comune di Bonorva il progetto di rigenerazione urbana del villaggio inabitato di Rebeccu ho contestualmente fatto presente che non avrebbe avuto senso senza che si partisse da una consapevolezza importante. Rebeccu è dei Bonorvesi, e ogni azione di rigenerazione passa obbligatoriamente dal coinvolgimento e dalla “felicità” degli abitanti del territorio. In questi termini è stato presentato dal Comune di Bonorva un progetto di internazionalizzazione all’Assessorato all’Industria della Regione Sardegna, proprio per esportare un modello di impresa turistico/culturale sostenibile e compatibile con la vita del territorio.
I due eventi che si terranno a New York sono destinati ad impostare un dialogo che parta da questi principi. Il 31 maggio all’Istituto Italiano di Cultura che è anche partner con l’ENIT, i Com.It.Es, e con la fondazione privata DisterraUS che riunisce molti sardi emigrati e discendenti del mondo creativo, si terrà un panel per illustrare il potenziale imprenditoriale di Rebeccu e della scelta così peculiare del Comune di Bonorva di credere in questo progetto. Il 2 giugno si chiuderà con uno spettacolo/concerto dove i venti componenti del coro Pauliccu Mossa canteranno alternandosi alle parole del drammaturgo e giornalista americano Jeff Biggers, autore del libro In Sardinia.
Cosa ci sarà nel futuro di MusaMadre?
L’amore incondizionato per una terra che è Madre.