Lunedì 15 dicembre, ore 18:00, presentazione di Prima di ogni cosa. Per un futuro Crip di Chiara Bersani, Dalila Flavia D’Amico e Giulia Traversi alla Biblioteca Europea a Roma, via Savoia 13. Con il sostegno di Fondazione Alta Mane Italia e Sempre più Fuori Festival/Cranpi.
Questo libro nasce dal disordine e nel disordine esige rimanere. Questo libro è per chi sente costantemente la terra scivolargli sotto i piedi, questo è un libro per provare a non sprofondare. È un libro scritto durante il genocidio in Palestina, la guerra in Ucraina, i fascismi in Europa, il cambiamento climatico, il trumpismo e anche se non parla di tutto questo, questa è l’aria che respiriamo. Questo libro lo scriviamo in tre, ma avremmo potuto scriverlo in cento perché le questioni si espandono come piante infestanti e nel groviglio siamo in tante a rovesciare parole nelle pubbliche piazze, a ragionare insieme o ragionarci addosso e a prestare intuizioni e incastrare argomentazioni. Quindi questo libro è anche un rito per evocare persone vive e morte, vicine e lontane. È un coro mal armonizzato tra tutte le voci che ci sono e quelle non citate ma che agitano le acque.
Tre voci, tre prospettive, un unico respiro politico. Prima di ogni cosa nasce dall’incontro fra Chiara Bersani, artista che ha ridefinito i confini della danza contemporanea; Flavia Dalila D’Amico, studiosa delle arti performative che porta il suo contributo teorico e critico alla rivoluzione di Bersani; e Giulia Traversi, dramaturg e manager che traduce in pratica quotidiana le domande sull’accessibilità. Insieme costruiscono un trialogo di voci alleate intimo e politico, dove la teoria non precede mai il corpo, dove la scrittura collettiva è un esercizio di sopravvivenza condivisa, un arcipelago tra il separatismo delle isole performative e competitive del settore culturale.
Prima di ogni cosa è un libro impertinente e, va detto, un libro scomodo. Abbraccia deviazioni generative, ribellandosi alla norma sia da un punto di vista strutturale che contenutistico. La puntualità della forma saggistica si alterna alla prospettiva diaristica, intrecciando processi creativi, dossier aperti, conversazioni, playlist e polaroid. Non vuole chiarire, vuole abitare la complessità senza nasconderla. Il discorso artistico con cui procede non è pacificatore, come potrebbe esserlo? Non ci sono risposte semplici alle domande che porta. Non è mai neutro, mette in crisi tutto ciò che sembra naturale o necessario, convoca responsabilità sociali, politiche e architettoniche (per citarne solo alcune) nei confronti della comunità di persone disabili.
Infatti, Prima di ogni cosa manifesta un futuro Crip: la Crip Theory nasce dalla riappropriazione politica della parola “cripple”, traducibile con “storpio”, insulto trasformato in forza, come avvenuto per queer. Ma Crip non è un’identità fissa né un semplice sinonimo di disabilità: è un impegno a riscrivere i parametri che definiscono il valore dei corpi. Significa mettere in crisi la retorica dell’efficienza, l’ossessione per l’autonomia, la gerarchia implicita fra corpi che funzionano e corpi che devono giustificare la propria presenza. In un futuro Crip non si chiede alla norma di essere più gentile: si immagina un mondo che non la preveda più. La vulnerabilità diventa un luogo condiviso, il tremore un sapere, l’imprevisto una struttura. Non un inciampo, ma una possibilità trasformativa.
Nel libro la disabilità non è un tema da trattare, ma un modo di procedere. Diventa metodo perché i tratti dell’esperienza di corpi disabili come lentezza, specificità del movimento, interdipendenza, relazione con strumenti e caregiver diventano strumenti epistemici. Le autrici rifiutano il decalogo, il manuale, la soluzione rapida: “ogni tentativo di semplificazione tradisce la complessità dei corpi”.
Tra tutte le opere che abitano Prima di ogni cosa, Michel – The Animals I Am è il lavoro che meglio mostra come una pratica artistica possa contenere, nella sua stessa struttura, le domande politiche ed estetiche del libro. Non è uno spettacolo che illustra una teoria: è una teoria che prende forma nel corpo. La sua origine è già un gesto politico. Nel 2021 Chiara Bersani crea L’Animale come assolo, commissionato per Swans Never Die, un progetto che ripensa la figura del cigno nella storia della danza. Ma parallelamente nasce una domanda che non smette più di lavorare: quanti Michel sarebbero esistiti, se avessero avuto la possibilità? La domanda rimanda a Michel Petrucciani, pianista jazz che ha vissuto con osteogenesi imperfetta, genio celebrato spesso in termini che lo isolano: un miracolo individuale, una rarità statistica, una vita artistica che “nonostante tutto” ha superato i confini della norma. Il lavoro di Bersani, invece, ribalta questa lettura. Petrucciani non è un’eccezione da venerare: è la prova materiale di ciò che l’abilismo impedisce. È lo specchio di tutte le vite artistiche che non sono mai state viste, di tutti i talenti che non hanno trovato un pianoforte, un maestro, un contesto che li riconoscesse.
Parlare di vulnerabilità senza riconoscere la violenza del presente sarebbe impossibile, il libro si scrive dentro un mondo specifico: genocidio in Palestina, guerra in Ucraina, fascismi in Europa, crisi climatica. Prima di ogni cosa non si permette l’astrazione, ne parla direttamente, respira quell’aria densa. E allora sorgono domande radicali: può esistere libertà artistica sotto occupazione? Può esistere inclusione in un territorio dove parte della popolazione civile è metodicamente resa disabile dai bombardamenti?
La comunità non è lo sfondo, non è audience da coinvolgere, ma alleanza da rinsaldare. “Se non siamo tante è solo un incanto”, “avremmo potuto essere in cento a scriverlo”: ogni pagina è attraversata da voci vive e morte, vicine e lontane, passate e future, ancora da formare. Il lettore è chiamato come presenza di corpo, non come mente astratta: c’è tutto da esigere e va chiesto insieme. Abitando le piazze, occupando gli spazi dove si parla, dove si ascolta e soprattutto dove non si ascolta. Tutti i luoghi sono da riconquistare. Il lettore… ma quindi chi è il lettore di questo libro?
Il lettore, ti insegnano, bisogna sempre immaginarlo quando scrivi. Bisogna sempre averlo a fianco, Prima di ogni cosa non si limita a fare questo, costruisce e si prende uno spazio concreto di pensiero, un territorio condiviso in cui la scrittura non istruisce dall’alto ma invita a restare, a osservare, a pensare insieme. Per chi crea, studia, cura e immagina. Rimanete con noi. Per chi fa leggi, per chi fa strade. Con noi. Per artisti, curatori, accademie, istituzioni culturali, architetti, persone che si alleano per nuovi spazi, nuovi tempi, nuove forme. Con noi. È un libro che cambia il modo di guardare la danza e la scena, dalla platea al palco, dal laboratorio alla città, intrecciando arte, politica e responsabilità sociale.
Dopo aver attraversato Prima di ogni cosa, le sue pagine continuano a lavorarti dentro: per giorni ti restano in testa parole che suonano insieme come una promessa di rivoluzione e un atto d’amore. Perché alla fine, questo è un libro d’amore: un amore che non consola ma accompagna; che tiene la mano nel tremore; che invita chi sente la terra scivolare sotto i piedi a non sprofondare. Un amore che riconosce la fragilità come luogo politico, estetico, umano.

Immagine di copertina
di Elia Zeno Covolan.