Novembre 2024

I ricchi hanno sempre ragione. Pastiglia post-elettorale

Ho sempre pensato che fare politica fosse una cosa seria, e non roba da imbonitori da fiera. Vuoi vedere che lo stupido ero io?

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In monarchia sei governato da un idiota perché così ha voluto Dio. In democrazia sei governato da un idiota perché così hai voluto tu. A suo modo, è un progresso. E nel 2015, all’epoca della prima vittoria di Donad Trump, girava questo meme: “‘Il leopardo mi ha mangiato la faccia!’ dice la donna che ha votato per il Partito-dei-leopardi-che-ti-mangiano-la-faccia”. 

Al posto di tutte le brillanti analisi del voto americano a posteriori, sceglierei allora lo sfogo di un lettore del “New York Times” di prima delle elezioni, a commento del solito articolo del conservatore di turno che accusa l’elitismo della sinistra che non capisce i problemi della gente comune. Per inciso, a me, che non credo di essere fuori del comune, qui a Houston dove vivo, con la gente comune mi capita di parlare, e vi assicuro che non è facile. Perché dopo due minuti di conversazione che sembra normale viene fuori che uno tutte le mattine ascolta quello che gli dice Gesù e si regola di conseguenza, un altro dice che qui ci vorrebbe gente come me, istruiti che vengono dall’Europa, non quella feccia di immigrati ispanici (ispanico pure lui), mentre un altro ancora mi vuole dimostrare che gli immigrati basta che passino la frontiera e hanno più diritti di lui e fanno più soldi di lui. Eh, cosa vuole che le dica, saranno più furbi.

Da cui l’uscita del lettore del NYT. Mi vergogno dela mia ingenuità, scrive. La mia idea che siamo simili al 99,5% della popolazione e che abbiamo qualcosa in comune tra le varie classi è stata smentita in pieno. Avrei dovuto prendere lezioni dal top 1%. Il loro disinteresse per la comunità, la democrazia, l’equità è assoluto. Per loro si tratta solo di accaparrare, dominare, frodare, inquinare e comprare politici, legislatori e forze dell’ordine. Loro, al contrario di me, sanno che io, come parte della classe media, non sono meritevole di cittadinanza in questo mondo, che è il loro. E bravi. Eccomi qui, a pensare come uno stupido che la politica sia uno strumento al servizio di tutti, di me che sono classe media come della classe operaia. Mi sono sbagliato. Se fossi più intelligente, adotterei gli atteggiamenti e i comportamenti del top 1%. Non lavorerei per nient’altro che per accaparrarmi tutto quello che posso. La classe operaia ha parlato chiaramente: “Poiché fare la spesa costa troppo, voterò per un delinquente fascista che dichiara apertamente il suo amore per i nazisti, promette una dittatura e deporterà tutti coloro che non rientrano nel suo progetto etno-religioso”. 

Vengo alla sua conclusione, che gli sono grato di avere espresso con una durezza di cui io non sarei stato capace: “D’ora in poi, qualsiasi mossa politica che miri a elevare la classe operaia la considererò una minaccia personale”.

Ora, com’è che la classe operaia una volta pensava di “elevarsi”? Semplice: mandando i figli a scuola. E l’ha fatto; in gran numero continua a farlo. Ma i figli che vanno a scuola, anche se continuano ad essere i figli dei loro genitori, non sono più figli della classe operaia, sono un’altra cosa. Tornano a casa dopo il primo giorno di università, aprono bocca e si accorgono che i genitori non li capiscono più (so benissimo di cosa sto parlando, credetemi). Poi, un giorno, questi figli-non-più-figli, che magari non guadagnano neanche molto di più di quello che guadagnavano i loro genitori, scoprono con loro sorpresa di essere diventati élite, e quelli che glielo rimproverano, come Donald Trump ed Elon Musk, sono proprio quelli che sono sempre stati figli solo dei propri soldi. 

No, la classe operaia non è fatta di santi, anzi può essere tanto fascista e razzista quanto qualunque altra classe. Non lo sa, ma non è lesa maestà farglielo notare. Non è elitario informare un entusiasta di Elon Musk (“Ha salvato gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale senza chiedere un soldo ai contribuenti!”, parole testuali) che invece Musk i soldi dai contribuenti li ha presi eccome, grazie alle sue commesse miliardarie con il Pentagono e la Nasa, e se l’entusiasta pensa che Musk faccia beneficenza al governo americano non è solo un ingenuo, è molto peggio.

No, non c’è niente di male a chiamare stupido uno stupido, o fascista un fascista. Il fascismo (Kant direbbe il male radicale) è il default dell’essere umano che ha paura di tutto e alla percepita aggressione del mondo esterno reagisce con una violenza preventiva che scambia per redentrice. Se le cose non stessero così, non ci sarebbe bisogno delle istituzioni, delle leggi e di quello che Freud ha chiamato il disagio della civiltà, questa autoprigione che ci siamo costruiti e dentro la quale siamo tutti infelici perché non possiamo essere tutti fascisti.

E a quelli che non sono fascisti ma solo spaventati, come si può parlare? Cosa dire ai giovani preoccupati per il loro futuro, che a settembre sono andati a sentire Trump in un comizio in Pennsylvania, cinquanta miglia a nord di Pittsburgh, e l’hanno votato perché gli hanno sentito dire: “Votate Trump e il vostro reddito salirà di colpo. Il vostro patrimonio andrà alle stelle. Il prezzo della benzina e degli alimentari crollerà!” (“Vote Trump and your incomes will soar. Your net worth will skyrocket. Your energy costs and grocery prices will come tumbling down!”). Che cosa dirgli oltre a: ma veramente basta così poco? Se per fare il presidente è sufficiente venire a dirvi: “Votate per me e vi farò ricchi”, allora sono capace anch’io. Perché ho sempre pensato che fare politica fosse una cosa seria, e non roba da imbonitori da fiera? Vuoi vedere che lo stupido ero io?

Trump è semplicemente un prosperity preacher, come il famoso Joel Osteen qua a Houston. Andate a sentire le sue omelie, e vi dirà: “Pregate e sarete ricchi!”. Gliel’ho sentito dire io, e le migliaia di fedeli che raccoglie ogni settimana (la sua chiesa è un ex stadio di pallacanestro), e che ricchi non sono, applaudivano convinti.

Ma i commentatori conservatori, oh, quelli ci sono andati a nozze nello sbeffeggiare il moralismo della sinistra che non capisce i bisogni del proletariato. E certo, la sinistra è insopportabile nella sua spocchia puritana, la stessa che era dei repubblicani di una volta, ma mettersi sullo scranno in base al principio secondo il quale “gli elettori hanno sempre ragione” è pura ipocrisia, perché qui non si tratta veramente di scelte ideologiche. Non è che gli elettori di Trump abbiano scelto la “destra”. In America la “massa” non ragiona in base a destra e sinistra; ragiona in base a chi appare vincente e a chi appare perdente, in base ai valori “eroici” delle società antiche. Se sei un winner hai ragione, se sei un loser vuol dire che non avevi ragione.

E chi ha sempre ragione sono i ricchi. Una volta, parecchi anni fa, una studentessa mi ha parlato dei suoi genitori. Avevano una bottega di barbiere a Dallas. Hanno sempre faticato a tirare la fine del mese, e hanno sempre votato repubblicano. Perché i ricchi hanno ragione, dicevano. Se non avessero ragione non sarebbero ricchi.

Nel 1974, il poeta Gary Snyder scrisse dei versi molto antologizzati e molto criticati. La poesia si intitolava Sono entrato al bar dei cani sciolti (I Went into the Maverick Bar), un vero bar di Farmington, nel New Mexico. Prima di entrare, Snyder si raccolse i capelli lunghi sotto il berretto e lasciò l’orecchino in macchina. Poi ordinò birra e un doppio bourbon. Vide una coppia ballare come si ballava nelle scuole superiori negli anni Cinquanta e pensò: “Mi venne in mente quando facevo il boscaiolo / e i bar di Madras, nell’Oregon. / Quella gioia di avere i capelli a spazzola e la rozzezza dei modi, / America, la tua stupidità. / Mancava poco che tornassi a innamorarmi di te” (“I recalled when I worked in the woods / and the bars of Madras, Oregon. / That short-haired joy and roughness— / America—your stupidity. / I could almost love you again”).

Il giorno dopo le elezioni sono andato a un ricevimento pomeridiano che la Provost, la vice-rettrice della mia università, ha offerto all’intero corpo docente. Chissà perché proprio quel giorno. Forse per non farci pensare troppo a un messaggio della settimana prima in cui si parlava nebulosamente di possibili tagli a programmi non abbastanza produttivi. Eppure l’atmosfera era allegra, c’era molto da mangiare, piccoli doni per tutti e una lotteria. Nessuno parlava di politica, se qualcuno ha menzionato le elezioni di sicuro l’ha fatto sottovoce. Del resto siamo in Texas, non è che la vittoria di Trump cambi molto le cose quaggiù.

Poi è arrivata la banda della School of Music, rallegrata da due studenti con in testa un’enorme maschera dell’animale-mascotte dell’università, il coguaro o leone di montagna (i Cougars sono la squadra di football). Gli studenti-coguari si sono poi messi a girare tra i tavoli a salutarci, con guanti e scarpe a forma di zampa felina e una coda che gli pendeva dalla schiena. Come se a una festa dell’Università dell’Aquila il rettore dicesse agli studenti di andare in giro con addosso una pelle di orso marsicano. Aveva ragione Gary Snyder. Quello che ha salvato l’America fino ad ora e nonostante tutto, e spero che continui a salvarla, non è la destra o la sinistra. È la sua incantevole stupidità.