“Ai migliori manca ogni certezza”, sostiene Yeats. Pensiamo all’ex papa tedesco, Joseph Ratzinger – Papa Benedetto XVI – giunto a Roma promettendo l’instaurazione definitiva della verità. Ratzinger era un intellettuale e un sostenitore della verità assoluta. I cattolici di destra si sentirono rafforzati dalla sua ascesa al trono. Affermò: “Dio è uno, e la Verità è una”. Nel suo discorso più celebre, tenuto a Ratisbona, in Baviera, il filosofo Ratzinger denunciò il relativismo, che considerava la piaga della modernità.
Generalmente non sono un estimatore di Nanni Moretti, ma ho apprezzato Habemus Papam, il film da
lui diretto nel 2011. È un film sulla fragilità dell’essere umano, in particolare la fragilità di un uomo che diventa papa. Nel film, il Cardinale Melville (interpretato da Michel Piccoli) viene eletto papa. Quando ci si aspetta che pronunci il suo primo discorso pubblico davanti a una vasta folla riunitasi in Piazza San Pietro, si rende conto di non avere nulla da dire. All’improvviso, è sopraffatto dalla realtà del mondo e mormora: “Non posso parlare”. Poi si rivolge a uno psicanalista (interpretato dallo stesso Moretti). Il papa è depresso perché ha visto la verità che cercava di nascondere: nel mondo non esiste verità.
Nel febbraio 2013, Joseph Ratzinger decise di seguire le orme di Michel Piccoli. Ratzinger divenne il primo papa a dimettersi negli ultimi cinque secoli. Oggi, la relazione tra realtà e immaginazione è più complessa di quanto Jean Baudrillard avrebbe mai potuto immaginare. Il vero papa imita l’attore
che impersona il papa e accetta l’amara verità di non essere abbastanza forte da sostenere la responsabilità di dire la verità perché sente che la verità gli sfugge.
Ovviamente, questa è solo la mia interpretazione delle dimissioni di Ratzinger, un atto di coraggio intellettuale e di umiltà morale. Come si può comprendere la decisione di un papa, scelto da Dio tramite l’intercessione dello Spirito Santo, di dimettersi? Credo che l’interpretazione più plausibile sia che Benedetto si sentisse depresso e, parlando sinceramente con Dio, rivelasse umilmente la sua intima apocalisse. La depressione non riguarda la colpa, né rappresenta una limitazione della mente razionale. È la disconnessione tra ragione e desiderio.
Poi Mario Bergoglio fu eletto papa, divenendo il primo Papa Francesco nella storia della Chiesa Cattolica. Si affacciò alla finestra che dava su Piazza San Pietro e disse: “Buonasera. Sono l’uomo che viene dalla fine del mondo”. Si riferiva all’Argentina, un paese devastato dalla belva del capitalismo finanziario. Da quel momento, l’apocalisse ha illuminato gli atti di Bergoglio, poiché è un uomo che osa affrontare la fine. Dalla fine del mondo, Francesco ha tracciato un nuovo percorso nella teologia.
Poco dopo la sua elezione, rilasciò un’intervista alla rivista Civiltà Cattolica. Nell’intervista, riflette sulle tre virtù teologali: fede, speranza e carità. La mia interpretazione dei commenti di Bergoglio è che il problema principale per i cristiani oggi non sia la fede. Né la verità. C’è qualcosa di più urgente: l’attenzione dei cristiani oggi dovrebbe essere concentrata sulla carità, la misericordia, l’esistenza vivente di Gesù. La Chiesa, secondo Bergoglio, dovrebbe essere concepita come un ospedale da campo.
A volte viene chiamata “compassione”. A volte “solidarietà”. Deleuze e Guattari, nell’introduzione a Che cos’è la filosofia?, parlano di “amicizia”. Che cos’è l’amicizia? È la capacità di creare un mondo comune, un mondo di enunciazioni e aspettative ironiche. L’amicizia è la possibilità di creare un percorso comune nel corso del tempo. Come dicono gli Zapatisti, citando il poeta Antonio Machado, “Caminante no hay camino el camino se hace al andar”. La strada si fa camminando. Non c’è verità, non c’è significato, ma possiamo creare un ponte oltre l’abisso della non esistenza della verità. “Ai migliori manca ogni certezza” significa che i migliori hanno ironia, un linguaggio non assertivo che mira a sintonizzarsi su molti livelli di significato. Il sorriso ironico implica anche empatia, la capacità di condividere la precarietà della vita senza pesantezza. Quando l’ironia si separa dall’empatia e perde la leggerezza e il piacere della precarietà, si trasforma in cinismo. Quando l’ironia si distacca da empatia e solidarietà, la depressione prende possesso dell’anima.
Per i semiologi, cinismo e ironia sono correlati, poiché condividono la presunzione che la verità non esista. Ma dobbiamo andare oltre la semiotica: i due concetti differiscono perché l’ironico è colui che non crede ma piuttosto avverte empaticamente il terreno comune della comprensione. Il cinico è colui che ha perso il contatto con il piacere e si piega al potere perché il potere è il suo unico rifugio. Il cinico si piega al potere della realtà, mentre l’ironico sa che la realtà è una proiezione della mente, di molte menti intrecciate.
Quando i filosofi si resero conto che Dio era morto e che non c’era una base metafisica per le nostre interpretazioni, emersero diverse posizioni etiche. Una posizione si basava sull’aggressività e sull’applicazione violenta della Wille zur Macht: nel mondo non esiste verità, ma sono più forte di te, e la mia forza è la fonte del mio potere che stabilisce la verità. Un’altra posizione era l’ironia: l’amicizia e la condivisione egualitaria possono costruire un ponte di significato attraverso l’abisso della non esistenza del significato.