Tatjana Motta (drammaturga) e Virginia Landi (regista) propongono a Modena una rilettura della leggenda di «Tristano e Isotta». Perché il desiderio non è solo una questione privata
La Lettura del “Corriere della Sera”, 7 dicembre 2025
Se le storie fanno i mondi, cosa ci dicono del nostro tempo (e delle tensioni che lo attraversano) le narrazioni nuove o antiche che scegliamo per raccontare l’amore? Resta ovviamente centrale la questione del come si fanno le cose, ma dalla scelta rispetto a quale storia rileggere, ovvero su cosa ri-mettere sotto gli occhi di tutti, un qualche indizio ab origine su come guarda il mondo un artista lo ricaviamo.
Tatjana Motta, drammaturga vincitrice del 55° Premio Riccione per il Teatro, e Virginia Landi, regista più volte finalista al Bando Registi Under 35 della Biennale Teatro, partono dalla leggenda di Tristano e Isotta per il loro nuovo spettacolo insieme (le due collaborano dal 2017), una nuova produzione di Ert-Teatro Nazionale che debutta in prima assoluta al Teatro delle Passioni di Modena dal 9 al 21 dicembre.
Dai canti della tradizione celtica alle prime trascrizioni frammentarie, il mito racconta essenzialmente di un amore sovversivo. Tristano sta accompagnando Isotta al suo matrimonio imposto con Re Marco di Cornovaglia. Durante il viaggio i due giovani bevono un filtro d’amore e diventano amanti. Il loro amore ovviamente non resterà impunito.
«Non ci interessa tornare al mito per raccontare un fallimento o una morte annunciata, ma come laboratorio aperto attorno alla possibilità dell’amore di sovvertire un ordine sociale fondato sul possesso», chiariscono le ideatrici del lavoro. «Volevamo ragionare sul modo in cui raccontiamo le storie d’amore e su come queste narrazioni influenzano il nostro modo di intendere le relazioni. Della leggenda di Tristano e Isotta ci sono arrivate molte trascrizioni e versioni. Ed è questo il dato affascinante — spiega Motta —. Il modo in cui quella storia d’amore travagliata e archetipica è stata variamente raccontata ed è diventata letteratura è proprio la questione che ci sta a cuore».
Delle varie trascrizioni che ci sono arrivate, dice ancora la drammaturga, «ci interessano alcuni snodi più significativi di altri. Uno di questi è il momento in cui i due bevono il filtro d’amore che li farà innamorare. Quel filtro è un punto fondamentale, perché potremmo leggerlo come l’alibi dei due amanti adulterini, l’elemento soprannaturale che salva la loro moralità. Eppure, fin dalle prime trascrizioni, abbiamo trovato traccia di versioni in cui gli amanti, svanito l’effetto incantatorio del filtro, decidono consapevolmente di continuare ad amarsi, sebbene conoscano le condanne e le conseguenze gravissime alle quali andranno incontro. Mettere a fuoco questa scelta è per noi un atto politico. Parlare d’amore in uno spazio pubblico è un atto politico. I romanzi che parlano d’amore sono talvolta stati derubricati a letteratura intimista, eppure sappiamo quanto certi personaggi abbiano messo in discussione le relazioni di classe e di potere che avevano attorno proprio spinti dal desiderio amoroso».
«Siamo andate alla ricerca di chi per secoli ha cantato questa leggenda — dice Landi, che del lavoro firma la regia. Giullari, cantastorie, artisti che dal Medioevo a oggi ci tramandano quella vicenda. Accanto ai due amanti, i protagonisti del nostro spettacolo sono gli artisti che ci hanno consegnato la loro storia. Assai simili, nel desiderio, ai quattro attori e attrici — Giovanni Cannata, Marta Malvestiti, Cristiana Tramparulo, Riccardo Vicardi — che sulla scena cercano ancora una volta di ricomporre i pezzi di quell’avventura».
Lo spettacolo si sviluppa per tracce, come un album musicale (musiche originali e sound design sono di Andrea Centonza). Intrecciando frammenti testuali della leggenda a commenti, citazioni e riflessioni originali che a quel mito in qualche modo si richiamano, i quattro artisti testimoniano non tanto del fatto che Tristano e Isotta (che a loro volta erano musicisti) siano davvero esistiti, ma di come la loro storia d’amore abbia lasciato tracce nei secoli e impronte in altre storie.
Non siamo davanti a un classico in maquillage moderno, operazione più tipicamente conservatrice, ma al corpo a corpo con una leggenda come materiale mitico su cui ragionare. Per ricordarci che l’amore non è solo una questione privata. È un gesto eretico che mette in tensione i sistemi di controllo, che sfida il controllo sociale, scardina protocolli, attraversa confini reali e simbolici. Ogni volta che una forma di potere — statale, sociale, culturale — prova a regolare l’amore, ovvero a definire ciò che è ammissibile o non lo è, un fatto tanto intimo qual è un sentimento diventa inevitabilmente un problema politico, perché quando due persone decidono di amarsi contro ogni regola cambiano l’ordine delle cose allargando lo spazio di libertà per tutti e tutte.
«In un mondo patriarcale nel quale amare significa letteralmente possedere l’altra persona, cioè che un uomo possiede una donna, Tristano e Isotta scelgono di amarsi in maniera paritaria. Non c’è un conquistatore e una conquistata. Ci sono due persone che si incontrano e si innamorano nello scoprirsi a vicenda», dice Landi. Chi teme che l’elogio della parità — nello spettacolo come nella vita — trasformi l’amore in qualcosa di tiepido, in una simmetria gelida e antierotica, si rassicuri. Come suggerisce Maddalena Giovannelli, autrice della prefazione al testo dello spettacolo pubblicato con altri due testi di Motta nella collana Linea (Ert-Luca Sossella editore), «possiamo desiderare allo stesso tempo un nuovo equilibrio tra le relazioni di genere e struggenti storie d’amore».
