Il mio primo approccio alla città è, come sempre, da flâneur, la percorro a piedi, errando senza un programma troppo preciso, facendomi trasportare, incuriosito, dalle sensazioni ed emozioni che la città dona a chi la sappia conquistare con rispetto. Porto Alegre è una città di 1,4 milioni di abitanti, capitale dello Stato del Rio Grande do Sul, potente e fiorente centro produttivo nel settore agricolo e manifatturiero che ha accolto comunità tedesche e italiane nel suo grembo materno.
Oggi la crisi globale e quella specifica del Sudamerica e del Brasile ne mordono gli organi vitali, numerose attività hanno chiuso lasciando decadere alcune parti della città, soprattutto quelle più povere.
È, come tante città del Sud del mondo, una terra di contrappunti, tra alti e bassi, anche morfologici, e sembra costruita per aggregazioni e capricci invece che secondo regole e disegni. Il risultato è una sorta di samba di stili, di altezze, di colori. Un ancheggiamento di qua e si viene attratti da una deliziosa casa coloniale, un ancheggiamento di là e un palazzone attira la nostra attenzione, un avanzare e ci si ritrova a salire le ripide strade che la percorrono, e uno sculettamento fa alzare gli occhi verso guglie, campanili, cupole.
Insomma, una città dalla bellezza fuori dai canoni, le cui imperfezioni ne sono la cifra. Città meticcia, aperta e cosmo- polita, seducente e creativa, come viene cantato in Outra Vida del cantautore Armandinho o in Noites de Inverno, Sonhos de Primavera di César Passarinho, un vero e proprio inno alla città.
Immergiamoci con voluttà nel centro storico, proteso sul Rio Guaíba che poi sfocia in una grande laguna che lo protegge dall’oceano.
La prima tappa dopo la passeggiata urbanistica di primo approccio è lo stupendo Mercado Público, costruito negli anni Trenta dell’Ottocento vicino all’area portuale. Luogo di scambio e di relazioni, sempre vivo in ogni fase della storia della città. Ancora oggi è un posto vivace e creativo, pieno di bellezza dentro e fuori. Ogni banco offre seduzioni merceologiche, ma i più seducenti sono quelli del mate che, con gli stupendi contenitori ricavati dalle zucche a fiasco e le cannuc- ce argentee, promettono paradisi di ogni tipo e per ogni gusto: basta trovare la giusta combinazione.
Si ammira, si compra, si contratta, si mangia, si guarda e ci si fa guardare… un mercato insomma. Attorno al mercato il cibo è il protagonista. Possiamo sedere in una bettola strepitosa dove mangiare peixe frito composto in una polpetta che ci ammalia con sapori di cui il pesce è solo uno dei tanti. Oppure possiamo sederci allo Chalé da Praça XV, il più storico locale di Porto Alegre, fondato nel 1885 e successivamente ampliato e ristrutturato nei primi anni del Novecento e poi ricostruito nel 1971 dopo un incendio. Un luogo che racconta di incontri eleganti, di sorseggiamenti e amoreggiamenti in una città che fondeva stili e linguaggi portoghesi, tedeschi e italiani alla ricerca di un gusto alimentato dalla sua bellezza creativa, mai scontata.
Allo Chalé è d’obbligo una caipirinha con cachaça accompagnata dalla immancabile polenta fritta, memoria gastronomica delle tradizioni venete. Infine, se la fame non è ancora domata, possiamo entrare in uno dei locali di cibo da strada che si aprono sul perimetro del- l’edificio del mercato e assaggiare tutto quello che si na- sconde dentro un panzerotto, un bignè, una panatura, una frittura, una sfoglia, una crosta. È utile chiedere informazioni, ma soprattutto assaggiare.
In pieno centro storico c’è un luogo prezioso e potente, un luogo delle tante «piccole cose» come amava dire Mário Quintana, poeta delicato, a cui è dedicata la Casa de Cultura. Un multiluogo fatto di tante piccole ma importanti cose: una libreria, un teatro, una scuola di danza e una di fotografia, una galleria d’arte, un caffè, un coworking, un asilo, un grande tavolo per discutere, una terrazza per amarsi, un giardino da curare. Tutte insieme fanno di questo luogo un propulsore culturale amatissimo da tante persone che si ritrovano qui per condividere bellezza e creatività, cura e gioco, didattica ed esperienza. La Casa de Cultura, sorta al posto dell’Hotel Majestic, è un perfetto esempio della metamorfosi della città: dove regnava l’esclusività e la chiusura oggi alberga l’inclusione e l’apertura, in una formidabile parabola dei nuovi metabolismi urbani di questa città che sta cercando testardamente il suo diverso presente.
Porto Alegre è una città d’acqua e sull’acqua ha fondato non solo il suo passato di porta del Brasile meridionale ma anche il suo presente remoto di città culturale e creativa. Il riverfront del centro storico, infatti, è stato oggetto di un programma pluriennale di riqualificazione che trovava (adesso è chiusa per ristrutturazione) nella Usina do Gasômetro il suo epicentro culturale come grande spazio per la cultura e l’arte.
Attorno a essa si sviluppa un paesaggio liquido costituito da un sistema di quattro parchi per il tempo libero: Praça Brigadeiro Sampaio, Praça Júlio Mesquita, Parque Moacyr Scliar e Parque Maurício Sirotsky Sobrinho che termina sulla foce del canale Ipiranga.
Parchi deliziosi e molto frequentati, attrezzati per il tempo libero, il fitness, il pic-nic, la lettura e l’amicizia. Giardini vegetali, ma anche acquatici e minerali in una sintesi equilibrata. Luoghi naturali, soprattutto, in cui rimanere incantati dal tramonto di Porto Alegre che arrossa il cielo, salutando questa città allegra, anche se talvolta con quella allegria dolente di chi ha visto la vita attraversarla non sempre benevola, ma trova ancora motivo per essere felice.
Non dimentichiamo durante il tramonto di bere un aperitivo sulla rotonda sull’acqua del gastrobar 360 POA, accompagnandolo con gli immancabili finger food, tra cui la calabrisa, la salsiccia piccante delle tradizioni della numerosa comunità calabrese.
Se vogliamo fare una pausa pranzo con un tuffo nella storia gastronomica più profonda di Porto Alegre, il luogo giusto è Gambrinus, aperto dal 1889 dentro il mercato pubblico. Appena entro sembra che il tempo si sia fermato, e non solo nell’arredo o nei camerieri che sembrano usciti da una macchina del tempo. Quello che davvero mi riporta al passato sono i piatti, la loro fattura, la presentazione e soprattutto il sapore. Nessuna concessione alla moda temporanea, Gambrinus spazza via decine di anni di nuova cucina o di cucina televisiva o instagrammabile per rivendicare l’onore di una cucina vera, per le persone e non per il virtuale. Ogni piatto è cucinato con amore e cura, servito senza orpelli e porta sul tavolo una porzione gustosa di cucina portoghese ripensata in salsa brasiliana. Oggi ho scelto il piatto del giorno (lo stesso di un secolo fa):
Tilápia ao molho de camarão e batatas cozidas, accompagnato dall’immancabile riso e da una caipirinha al mezcal. Un piatto che ha risvegliato papille gustative dormienti da anni di involuzione gastronomica, che ha solleticato sapori reconditi sepolti nel mio DNA. Un viaggio nel viaggio.
Dedico un’intera mattina a capire meglio la città degli anni Novanta, la città verticale che, forte di uno sviluppo ritenuto inarrestabile, inizia a sostituire lo stile coloniale e meticcio con uno stile internazionale che rimodella la topografia urbana, nascondendo all’ombra dei palazzi e dei grattacieli la movimentata orografia della città e anestetizzando alcune delle più belle architetture ritenendole superate. Una città che punta molto sullo sport, in particolare sul calcio, come uno dei più potenti ambasciatori del Brasile. Che si estende lungo la baia del fiume Guaíba conglobando paesaggio naturale e spazio urbano, sporgenze collinari e collassi acquatici.
Un’altra mattina la dedico a capire meglio la città fuori dal centro storico, verso nord, lungo le avenidas scandite dalle palme e punteggiate dai palazzi della espansione verticale tra gli anni Settanta e Novanta, quando Porto Alegre accompagna al suo passato coloniale un futuro possibile di grande metropoli del sud del Brasile, capitale dell’industria meccanica, del mobilio e delle tecnologie. Arrivano i campus delle università-mondo come la Pontificia Università Cattolica o la Unisinos dei Gesuiti, la prima un’eccellenza in campo medico con un sistema di ospedali e di ricerca di alto livello, la seconda più orientata al design e all’ingegneria.
Arrivano i grandi impianti per il calcio e lo sport in generale, in un Brasile che fa del calcio una bandiera della sua potenza, un marketing del suo sviluppo tumultuoso ma senza progresso. Sono quelli gli anni dei BRIC, i paesi del nuovo «sviluppismo» mondiale guidato dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, dove il Brasile è la B (gli altri paesi sono la Russia, l’India e la Cina). Una crescita senza controllo che affoga architetture, che ottunde e consola, nascondendo i veri problemi che emergeranno virulenti negli anni della crisi e del crollo del prodotto interno lordo.
Porto Alegre, però, vuole ripartire da qui, dall’alleanza tra memoria e futuro, tra identità e innovazione, ricomponendo l’armonia dove sembrano esserci solo dissonanze. Non è un processo facile, produce conflitto e diseguaglianze, esplora accordi pubblico-privato dove, spesso, il primo è solo una comparsa che non recita alcuna parte e il secondo è un vorace preda- tore di spazio pubblico e di paesaggio.
Aprono e chiudono gli spazi culturali, le poche realtà interessanti sono finanziate dalle banche e rivolte a una nicchia di persone, la maggior parte degli abitanti è solo folla senza essere protagonista. Il governo della città parla ancora di masterplan che non riusciranno a cogliere opportunità reali e rimarranno disegni, anche se si intravede un interessante patto siglato, proprio nei giorni in cui sono qui, tra la municipalità, le imprese e le università per reimmaginare Porto Alegre in maniera sostenibile. Vedremo gli esiti concreti, anche se i paradigmi su cui si fonda sembrano obsoleti.
Intanto io continuo a «flaneureggiare» tra quartieri e persone alla ricerca dell’aura della città.
La fondazione Farol del Banco Santander è uno di quei tentativi di rimettere insieme pubblico e privato per la rigenerazione degli spazi pubblici, sebbene con esiti ancora incerti. La volontà è quella di rivitalizzare la Piazza delle Migrazioni trasformando una sede della banca in un museo che esplori il rapporto tra arte e tecnologia. È anche un piccolo urban center che espone storia e progetti della città con il ricorso alle tecnologie digitali interattive. Racconta l’evoluzione di Porto Alegre tracciando rotte, ancora imprecise, verso il futuro.
Interessante, ma ero l’unico visitatore e temo che non fosse un’anomalia statistica di quel giorno. La domanda è: a chi è rivolto? A chi pensa? La comunità che vi gravita attorno è interessata? O è solo un’operazione elitaria? Niente a che vedere con la vita frenetica, creativa e aperta della vicina Casa de Cultura. Insomma, mi sembra una delle tante controversie della rigenerazione urbana guidata dall’alto, senza utilizzare adeguati protocolli incrementali, che verifichino gli effetti, e adattivi per modificare le azioni in corso d’opera se non producono i risultati desiderati, ma soprattutto senza usare la ricchezza di un approccio aperto, fecondamente collaborativo.
Mi piace percorrere le città di notte, scoprirle nella loro intimità più fragile, farmi sedurre dal loro silenzio e sorprendere dai loro suoni nascosti durante il giorno. Le città di notte cigolano, gemono, sospirano, sognano e sussurrano. Soprattutto, le città di notte sono sincere, senza la maschera che indossano di giorno per apparirci come riteniamo che debbano essere. Porto Alegre nei suoi viali notturni, nelle sue ascese promettenti e nelle sue discese abissali mi attrae, con la sua apparente solitudine.
Se ascolto meglio, tuttavia, se indago nel buio scorgo gli abitanti della notte: uomini che si attardano, donne che si vendono, giovani che ridono, anziani che sonnecchiano, ambulanti che proteggono la merce, ritardatari che rincasano. Le città d’acqua, in particolare, sono angiporti profondi, ogni zona è la porta di un mondo che la attraversa, mercato di un commercio. Poi arriva l’alba e la magia notturna viene sostituita dalla ragione diurna.
Porto Alegre è anche una città di resistência criativa, di lotte sociali condotte con la creatività. In centro storico sul viadotto Otávio Rocha i giovani ribelli di Porto Alegre e le famiglie che occupano gli edifici vuoti hanno dato vita a una comunità combattente e creati- va che mette insieme le lotte per la casa, la rivendicazione degli spazi pubblici, il teatro sociale, l’ecologismo radicale, il femminismo (che era tornato forte nel Bra- sile patriarcale e tossico di Bolsonaro), i movimenti giovanili e la lotta alle diseguaglianze.
Ne viene fuori un luogo intenso, figlio del Forum No Global di Porto Alegre del 2001, in cui risuona ancora lo slogan «un altro mondo è possibile». Un luogo imprescindibile per capire l’anima ribelle di questa città, la sua postura meticcia che si fa spazio urbano. Il tutto è reso fluido da fiumi di birra, da tonnellate di pizza e da chilometri di panini che allietano le discussioni, le manifestazioni, i recital di poesie, le occupazioni a ondate, le performance dei resistenti che abitano il viadotto Otávio Rocha.
Un fiume di ragazzi e, soprattutto, di ragazze che qui trovano uno spazio franco e sicuro di espressione senza giudizio, di manifestazione del loro femminismo senza patriarcali compromessi. Ringrazio Carlo Franzato e Chiara Del Gaudio per avermici portato, avermelo raccontato e fatto vivere da insider un’esperienza indimenticabile.