Dicembre 2024

Quale rapporto tra innovazione, mutualismo e cooperazione?

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Quale rapporto esiste tra innovazione, mutualismo e cooperazione? Le ragioni alla base di questo interrogativo derivano sia da evidenze che da mancanze. Rispetto alle prime si moltiplicano iniziative, per quanto ancora sporadiche e limitate nonostante l’hype narrativo, che cercano di combinare in modo nuovo i termini in questione. Le mancanze, che forse agiscono maggiormente nel porre l’interrogativo, derivano da uno svuotamento della cultura d’uso dell’innovazione che a fronte di capacità di adoption limitate tende a “girare a vuoto” in termini di sostegno a capacità trasformative. In estrema sintesi innovazioni incapaci di generare quei cambiamenti positivi e duraturi che appaiono sempre più necessari a fronte di sfide la cui soluzione non è più rinviabile.

Prima però di valutare la solidità dei nessi è necessario stabilire la natura delle relazioni. Da questo punto di vista pare consigliabile puntare sulla ricerca di affinità elettive tra innovazione, mutualismo e cooperazione. Quindi non vere e proprie correlazioni o ancor di più legami causali rigorosi e univoci, ma piuttosto quelle “direzioni di condizionamento reciproco” che esistono ma non sono predeterminate e univoche, come sosteneva Weber ispirandosi all’omonimo romanzo di Goethe per spiegare l’influenza tra etica protestante e spirito del capitalismo.

Una volta definito il quadro delle relazioni è possibile indagare su queste affinità, in particolare su come si caratterizzano rispetto al contesto storico che stiamo vivendo e che in modo un po’ sbrigativo ma comprensibile possiamo definire come “era delle transizioni”. Considerato questo stato processuale e di passaggio la modalità di analisi dovrebbe essere prima di tutto fenomenologica piuttosto che teorico concettuale. Guardare cioè a innovazione, mutualismo, cooperazione per come si manifestano oggi nella loro versione più “superficiale” o manifesta piuttosto che fondativa che rischia di essere escludente in un contesto fluido come quello attuale. In termini fenomenologici la prospettiva dovrebbe inoltre essere bifocale, guardando simultaneamente sia agli elementi mainstream – cioè i caratteri riconosciuti come più diffusi a livello narrativo – che  quelli emergenti e divergenti. E a partire da questo punto di osservazione riscontrare la tenuta e l’evoluzione della loro base di significato, della loro ideologia sottostante che prende forma intorno a modellistiche “sacralizzate” attraverso principi generali sostenuti da sistemi esperti fatti da ricercatori e addetti ai lavori. In questo modo si potrà verificare se esiste, o se si sta formando, una qualche prospettiva comune che sia in grado di costruire una rappresentazione sociale definita e peculiare – una specie di teoria dal basso – che tenga insieme innovazione, mutualismo e cooperazione.

Dopo questa lunga premessa un po’ metodologica e molto di svelamento della postura culturale nei confronti dei termini e delle loro relazioni, si può iniziare a definire la fenomenologia mainstream, il “discorso” dominante potremmo dire, di ciascun termine.

  • Guardando all’innovazione sembra permanere un approccio “soluzionista”, cioè legato all’individuazione di bisogni / problemi ben definiti intorno ai quali attori diversi e in qualche modo specializzati ad operare come “agenti di cambiamento” che concorrono per cercare di risolvere in modo originale la sfida.
  • Per quanto riguarda il mutualismo questo particolare legame di interdipendenza tende a realizzarsi soprattutto attraverso approcci di scambio tra persona e organizzazione, il più possibile contrattualizzati e rendicontabili.
  • Rispetto alla cooperazione, intesa come forma istituzionale, prevale una tendenza a riprodursi soprattutto “per omogeneità” e continuità, dove col primo termine si fa riferimento alla constituency delle basi sociali e con il secondo ai principali settori d’intervento.

Se invece si guarda alla fenomenologia emergente (o alternativa) dei tre termini si evidenziano aspetti differenti:

  • l’innovazione assume sempre più una prospettiva di cambiamento sistemico, che si gioca a livello di policy e di advocacy, adottando una prospettiva d’impatto che non si riduce a mera rendicontazione (o peggio riposizionamento funzionale allo status quo);
  • per quanto riguarda il mutualismo si nota una maggiore ricerca di riconoscimento e condivisione tra gli attori; e questo assegna più peso dialettico e conflittuale al fine di sostanziare il principale elemento di valore della società cioè la diversità;
  • infine la cooperazione sta riemergendo, paradossalmente, andando oltre sé stessa ad esempio attraverso modelli multistakeholdership e ibridi come innovazione istituzionale.

Su questa bene si possono individuare le affinità.

Nella versione mainstream l’innovazione adotta approcci cooperativi e modelli mutualistici come correttivi o integratori a fronte della crescente difficoltà di “matchare” domanda e offerta, con la seconda che domina sulla prima. In questo caso si possono segnalare programmi “ingegnerizzati” di open innovation, il ritorno di fiamma per le comunità di pratica o le community di early adopters di nuove tecnologie.

Nella versione emergente cooperazione e mutualismo sono utili per cambiare verso all’innovazione (digitale in particolare) riscrivendo la narrativa di questa ultima ideologia. Subentra, in questo passaggio, una maggiore enfasi sulla governance, in particolare rispetto alla materia prima dei dati e sulla formazione e condivisione di nuovi asset patrimoniali intangibili, ovvero apporti progettuali e di altra natura che derivano da scambi ad elevata intensità di condivisione dei mezzi e dei fini dell’azione.